Non
accade spesso nell’Italia involgarita e cinica che ci ritroviamo che
qualcuno mostri coraggio, manifesti onestà intellettuale, sia di memento
ai giovani, combatta con disinteresse per degli ideali, per la storia,
per le tradizioni, per il suo paese.
Ebbene, qui a Portovenere, tra questi scogli crudi e dolcissimi; qui a
Portovenere, nei suoi carugi scuri e luminosi, silenti e chiassosi, erti
e piani e sempre baciati da brezze intrise di profumi iodati e, spesso,
dall’odore di basilico, ebbene, qui a Portovenere, quella gente
“coraggio”, quella gente “onesta”, quella gente “combattiva”, io l’ho
trovata:
- ho trovato Giuliana Calvellini Barsanti: indomita lottatrice per
difendere e salvare Portovenere dagli “Unni” invasori e ignoranti; dotta
in lingua e in dialetto antico; onesta nella valutazione dei fatti e dei
misfatti; divulgatrice impagabile delle tradizioni e della storia del
Borgo; amante fedelissima di coloro che di questo Borgo esaltarono e le
tradizioni e la storia; insostituibile e modesta dispensatrice di
informazioni anche le più futili;
- ho trovato il dottor Emilio Della Croce, presidente emerito della
Pro-Loco portovenerese, pacato, riflessivo, puntuale, riconoscente,
esperto…”navigatore” in acque difficili per scogli aguzzi, subdoli,
affioranti;
- ho trovato un’Amministrazione Comunale guidata da Salvatore Calcagnini,
di recente eletto a gran voce da un popolo intelligente che in una Lista
Civica ha saputo trovare l’antidoto per combattere “il virus”;
- ho trovato voi, cari amici portoveneresi; ho trovato voi che ormai da
oltre quarant’anni giudico e considero miei compaesani adottivi.
Vi ho seguito nelle vostre lotte e con voi ho partecipato; vi ho seguito
nei vostri dolori e con voi ho versato lacrime nel ricordare “i nostri
antichi” perduti amici; vi ho seguito nelle vostre esultanze per i
successi; vi ho seguito ascoltando i vostri mugugni ed anche le vostre
ineguagliabili “battute” di umorismo sano, colorito e pungente.
Tutto questo l’ho trovato in parte oggi e in parte ieri.
Prima di oggi e di ieri infatti, oltre quarant’anni fa, ebbi la
fortuna di calcare la terra del Cavo, assaporando laggiù lo sferzante
salino spruzzo del maestrale, ascoltando laggiù, tra i pini e gli ulivi,
racconti fantastici di viaggi, scoperte e conquiste, comprendendo il
valore degli ideali non venali, che pagano poco, ma che colmano di
inesauribile gioia la vita.

Allora, prima, oltre quarant’anni fa, ho calcato la terra del Cavo
accanto all’Uomo che Portovenere, nel suo carugio, ha visto nascere e ha
visto “ragazzo”. Allora, dal Cavo e poi dalla Villa D’Ottone, ho
iniziato a comporre le pagine di un libro che voleva essere libro di
ricordi, libro di storia, libro di sentimenti, libro di riconoscenza,
libro di Un ragazzo di Portovenere, libro di e per Gino Montefinale.
E adesso, in questa serata portovenerese tutta vostra e mia, ecco che
quel Ragazzo, ormai Uomo e per sempre perduto, lo vedo accedere
attraverso “le Porte” del Borgo antico che Voi portoveneresi veraci
avete socchiuso e oliato per agevolare ancora, ad invito, il suo
passaggio.
Gino Montefinale, il Comandante, dopo lunga forzata assenza, accede e
rientra stasera nel Borgo antico.
Accede, con il suo inconfondibile passo marinaro, a testa alta, prima
leggendo “colonia Januensis”, poi guardando se intatti sono rimasti gli
strumenti antichi che consentivano di ripartire le granaglie, poi
ancora, fermandosi e guardando in alto, alle sue spalle, verso il sacro
affresco che sovrasta dall’interno la porta principale.
Ecco ora riprende il suo andare, sfiora il portone di ingresso della
casa paterna.
Il Comandante ha passato le porte ed è entrato nel carugio, non è
entrato da solo. E’ seguito da una torma di “antichi” amici . Con lui
vedo:
Matè e Virginio, Raffaele, Carlo Portunato, Massa, Trieste, i Manfroni,
i Mantero, Richetto, Pierino, Aurelio Gianardi, Tonino, Maria, Ginetto
Raviolo, Roberto Raviolo, Paolo Raviolo, Marietto, Meme, Claudio
Pandolfo, Achille e Lauretta Reboa, i Canese, Andreino Sola, Natale
Sturlese, Cristina Còmiti, Lina, Bina, Mariuccia D’Ottone, Livio Bello
con sua mamma e Rosa ed Emo;

e poi ancora:
Guida, Piero, Arena, Carmine, Turano, Nerina, Giorgio, Valdettaro, i
Baldascini, Bastreri, Dondero, Saturno, Virginia, Antonuccio Frumento,
Mario e Beppe Raviolo, Verdemare, Don Beretta, la signora Borghi, i
Càrpena, Bruno Baracco, Carlo Amato, il Dotti, la Olivieri, i
Traverso, Macèra.
Non ho il tempo di riconoscere tutti, sono tanti, una miriade; appaiono
anche volti antichissimi, rugosi, bruciati dal sole, scarni.
Appartengono a personaggi che il tempo non mi ha offerto la possibilità
di conoscere; molti si nascondono l’uno dietro l’altro; sono rimasti
intrisi della predominante caratteristica ligure: sono schivi.
E procedono a passo veloce.
Loro oggi volano.
Volano anche per tornare “lassù”, ai piedi del Castello, nel Cimitero
più bello del mondo, lasciato da tempo, in stato di grave degrado.
Anche loro, molti di coloro che adesso attraverso il carugio lo
accompagnano, lo hanno ascoltato estasiati durante le serate estive.
Lo hanno ascoltato quando le invasioni turistiche non erano ancora
assordanti e ridondanti;
quando la “curva” non esisteva e i pullman scorrevano verso la Piazza
del Re buono;
quando la casetta di Garibaldi mostrava i segni di quell’approdo
storico;
quando il Convento secentesco era sede del Municipio e ospitava un
cinema all’aperto;
quando una Mancina adeguata, antica, preziosa operava sulla calata di
sogno;
quando il vaporetto di capitan Màttera emetteva suoni fumanti;
quando l’albergo principe di Portovenere si chiamava Locanda.
Con il poeta Gibran dico:
“Il Maestro che cammina all’ombra del tempio tra i discepoli non dà la
sua scienza ma il suo amore e la sua fede.”
Coloro che lo seguono, un giorno lo ascoltarono narrare così:
“E’ remeggiando nella nostra rada all’età di 16 anni che:
- ricordo sempre quel mattino di luglio del 1897 – una tipica giornata
dell’estate soleggiata del golfo dei Poeti – quando, girovagando in
barca nelle nostre placide insenature, insieme al prof. Manfroni,
vedemmo spuntare dal Cavo un piccolo rimorchiatore della Marina, il cui
albero era stato allungato in modo inconsueto. Procedeva a piccolo moto,
attardandosi lungo le allora romantiche calette, non ancora manomesse
dalla modernità, fino a giungere all’imboccatura del piccolo stretto e
sostare un po’ a lungo davanti alle case ed agli approdi di questo
nostro storico Borgo.”
Quel
rimorchiatore (il famoso n°8) era una delle prime, se non la prima
navicella che Guglielmo Marconi ventenne, attorniato da adulti e attenti
ufficiali della Marina Militare, utilizzava per dar dimostrazione
pratica della sua invenzione.
Quel ricordo-visione narrato da Gino Montefinale ai suoi amici del
Borgo, fu, per lui VATICINIO.
Gino Montefinale, un ragazzo di Portovenere, dopo lo studio,
l’Accademia Navale, il sacrificio, il duro impegno, la lunga vita di
mare, divenne infatti “l’uomo di Guglielmo Marconi”.
Certamente, Gino Montefinale, è stata l’ultima fortunata persona che ha
condiviso, prima come ufficiale della Marina Militare, poi come stretto
collaboratore dello Scienziato anche sulla fatidica Elettra, le grandi
conferme e le inebrianti anticipazioni che “l’invenzione della radio”
giorno dopo giorno annunciava.
Ieri come oggi che appare offuscata nella memoria patria e dei molti
l’immagine del grande italiano, ricordando e desiderando togliere dalla
polvere del tempo la figura di Gino Montefinale, ecco che sono andato a
scrivere il libro che la Pro-Loco con la solerte, necessaria
collaborazione dell’Amministrazione Comunale, ha desiderato fosse anche
qui, nel luogo di nascita del protagonista, presentato a memento, ad
onore, a gratitudine, ad esaltazione di un suo Figlio illustre, forse ad
oggi il più illustre, che ha onorato Portovenere e la Liguria.
Ho scritto il libro affascinato dagli avvenimenti, dai personaggi, dai
tempi, dal mondo di mare e di scogli in cui, il vostro concittadino, per
intelligenza, per volontà, per impegno, ma anche e soprattutto per
orgoglio ha saputo e voluto vivere, scrivendo, parlando e operando.
Ho scritto di Lui, storico, giornalista, artista, scienziato.
Ho scritto di lui figlio, sposo, padre e nonno.
Ho scritto sognando e molti lo hanno compreso.
Tra i molti scritti e attestati ricevuti, ho, alla rinfusa scelto
questi. Ve li leggo:
- Portovenere ti ringrazia, Viva il Comandante!
- Vai fiero delle tue idee e ricorda che il monumento lo hai fatto tu,
toscano, a noi portoveneresi doc e non.
- Tu sei riuscito a suscitare in noi ricordi ed emozioni incredibili.
- Lei ha scritto un racconto più con le parole di un poeta che con
quelle di uno scrittore.
- Ad accrescere la soddisfazione del leggerti, la consapevolezza che i
mediocri non hanno gradito o meglio non sono all’altezza di comprendere,
afferrare, gustare le cose, i fatti, che commuovono e appassionano noi.
- Il suo è davvero un ottimo lavoro, un testo di impegno e di minuziosa
interessante ricerca, di piacevole e avvolgente lettura, scritto con
passione, nobiltà d’animo e coinvolgente affetto. Gino Montefinale è di
certo un punto di riferimento per tutti gli Allievi che, attraverso le
esperienze e gli esempi positivi e nobili del nostro passato, trovano la
conferma della loro scelta di vita. Il suo libro, opera di assoluto
pregio e di doverosa consultazione, è già stato catalogato nella nostra
biblioteca.
- Il suo libro l’ho trovato ricco di memorie e di appunti che dovrebbero
far vibrare lo spirito di chi, seduto sotto i pini, non sa parlare che
di pensioni e di diritti.
- Leggendola mi sono ritrovato con i miei ricordi, relativi all’ultimo
periodo di vita dell’Ammiraglio, quando al mattino lo vedevo transitare
dalle Bocche con il suo “geloso canotto” per andarsi a posizionare al
largo della Grotta Arpaia per fare i suoi schizzi pittorici di cui ne
conservo gelosamente uno nella mia casa.
- Nella lettura del piacevole libro, che presenta una veste tipografica
molto elegante ed un testo essenziale e vivo, direi quasi attuale per i
riferimenti ad una realtà del Golfo che in vari aspetti, negativi e
positivi, conserva antichi e non mutati profili di usi, costumi,
comportamenti, propensioni, ho ritrovato quei valori che la nostra
Marina continua a coltivare con un senso dello Stato che vorremmo più
ampiamente e più compiutamente vissuto dalla collettività nazionale.
- Molto dell’inchiostro usato da Gino Montefinale fu consumato in difesa
della sua Portovenere, dove tornava appena poteva e dove scelse di
trascorrere la sua ultima lunghissima primavera.
- In questa biografia il nostro Comandante ci affascina per l’intatta
fedeltà alla sua gente, umili pescatori e naviganti, coi quali amava
intrattenersi.
- Ho letto, per ora, solo alcune righe del tuo libro su Gino
Montefinale, ma intuisco un’atmosfera che amo: la grande storia subita
dai contemporanei ma rivisitata e resa viva nel diario dei protagonisti
di quella vita.
- A tre giorni dal suo invio, ho già potuto leggermi tutto d’un fiato la
biografia con emozione e tanta nostalgia di un così eccezionale
personaggio, che ho stimato, ma ancor più amato per il suo giovanile
entusiasmo e la ammirevole diligenza con cui rievocava le tappe percorse
con il grande Marconi nel mondo delle onde elettriche.
- Devo veramente felicitarmi con lei per il modo essenziale, per nulla
aùlico e commemorativo, ma al tempo stesso appassionato e partecipativo,
con cui ha tracciato la vita di un grande, integerrimo ed
eccezionalmente nobile personaggio.
Questa sera sento, commosso, sincerità di sentimenti per il
portovenerese Comandante Gino Montefinale.
Al turbine dei ricordi e di questi sentimenti fa da cornice la risacca
antica di questo splendido vostro mare.
Alla memoria del Ragazzo di Portovenere, perché i posteri sappiano che
razza di uomini questo Borgo ha saputo dare:
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