A
questa mia “AVVENTURA PISANA” ho sentito il bisogno di dare un titolo.
Questo è il titolo:
M E M O R I E S E N Z A F I L
I
Siete voi, egregi membri del Lions Club pisano i
responsabili, anche se inconsapevoli, di questa mia avventurosa
presenza.
Siete colpevoli perché con una delle vostre benemerite iniziative, anche
in me, profano vostro interlocutore, avete provocato, sfruculiandolo e
stuzzicandolo, quell’angolo non remoto del mio essere dove da tempo
risiede ciò che amo definire il TEMPIO DELLE MEMORIE.
Mi avete provocato, pubblicando pregevoli volumi, lo avete fatto
indicando come meta ambiziosa:
un recupero, voglio dire il recupero.
Si, il recupero di quelle strutture e di quelle residue ormai fatiscenti
attrezzature che furono gloria, espressione di intelligenza e genio,
manifestazione di orgoglio di quell’Italia nostra che con pervicace
insistenza e, credo, programmata, colpevole intenzione si è nel tempo
cercato di far dimenticare.
I portatori orgogliosi del gonfalone che ha guidato e guida il vostro
cammino di… memorie intendo rammentarli subito.
Il dottor Roberto Spisni e il dottor Paolo Stefanini, con il loro
entusiasmo, con la loro dedizione, con la loro volontà di fare per
ricordare, hanno provocato lo stimolo necessario e indispensabile
per far scattare quella mia molla che ahimè, anche per la non più tenera
età, sembrava rotta.
Loro:
Spisni già vostro presidente e Stefanini presidente attuale e
quindi dotato di “campana”;
con voi: illustri associati di questa preziosa istituzione pisana;
hanno e avete deciso:
facciamo rivivere la gloria di Coltano.
Ed ecco, in questo “facciamo rivivere”, le memorie in me suscitate che,
romanticamente desidero oggi definire “memorie senza fili”.
E di queste stimolate memorie, provocato, sono venuto a raccontarvi:
ho avuto la fortuna di vivere in anni ormai lontani periodi, ahimè brevi
(anch’io un tempo non remoto ho intensamente lavorato godendo di poche
ferie) ho avuto la fortuna di vivere dicevo accanto all’uomo che ebbe la
sorte di essere prescelto da Guglielmo Marconi come suo stretto e
diretto collaboratore e, successivamente, come Direttore delle gloriose
e finalmente italiane Officine Marconi di Genova.
Quell’uomo che al momento indico, anche per doveroso rispetto, come uomo
con la U maiuscola, era Ufficiale Superiore della nostra allora Regia
Marina e Ingegnere;
da lui, che il fato ha voluto fosse il nonno dei miei figli, gli
entusiasmi, le passioni, il racconto di tempi
fantastici, irripetibili.
Ho avuto la fortuna di sentir narrare:
“…ricordo
sempre quel mattino di luglio del lontano 1897 – una tipica giornata
dell’estate soleggiata del Golfo dei Poeti – quando, girovagando in
barca nelle placide insenature di Portovenere, insieme al prof. Manfroni,
vedemmo spuntare dal Cavo un piccolo rimorchiatore della Marina, il cui
albero era stato allungato in modo inconsueto. Procedeva a piccolo moto,
attardandosi lungo le allora romantiche calette, non ancora manomesse
dalla modernità, fino a giungere all’imboccatura del piccolo Stretto e
sostare un po’ a lungo davanti alle case ed agli approdi dello storico
Borgo.”
Quel rimorchiatore che il narratore intravide, era il famoso
rimorchiatore n°8, una delle prime, se non la prima, “navicella” che il
giovane Marconi, attorniato da adulti e seriosi ufficiali della Marina
Militare Italiana, utilizzava per dar dimostrazione pratica della sua
grande invenzione.
Fu quella una visione che per l’Uomo con la U maiuscola (allora
sedicenne) può essere definita vaticinio; quella visione fu per lui
(queste sono mie deduzioni) l’indicazione di un percorso da seguire e di
un traguardo da raggiungere.
Il “percorso” tra virgolette di quest’Uomo, ebbe dunque ideale inizio a
Portovenere.
Di Portovenere non sto qui a descrivere le bellezze e le vestigia; ho
saputo che nella scorsa primavera, Portovenere, un folto gruppo di voi
Lions pisani la ha visitata e Portovenere con il suo mare, le sue coste,
le sue scogliere, le sue isole ha accolto il gruppo pisano con
l’abituale, generoso abbraccio… marinaro fatto di brezze, di schizzi, di
profumi, di risacca.
E da Portovenere ecco che l’Uomo raggiunse il primo sognato
traguardo: l’accesso ai corsi superiori dell’Accademia Navale di
Livorno.
Era il 15 agosto del 1900, quando quell’Uomo, appena diciannovenne,
varcò gli storici, esclusivi cancelli di quel sacrario del mare che
sfiora la chiesetta di Sant’Iacopo e si aggancia alle secche dell’Ardenza.
Era epoca quella in cui nel mondo delle scienze, ma soprattutto in
quello della Marina si faceva un gran parlare di quell’invenzione
marconiana che ancora tuttavia faceva sorgere dubbi e discussioni e
attendeva conferme.
E’ del 1900 “la cosiddetta trasmissione oltre l’orizzonte” che condusse
al famoso storico brevetto 7777 registrato in Inghilterra il 25 febbraio
1901.
Il nostro Uomo portovenerese, pur se immerso nel mondo accademico della
marineria, ricordò quella visione del rimorchiatore/vaticinio del 1897;
credette;
iniziò a studiare, si sprofondò negli studi, si entusiasmò.
Si entusiasmò perché, forse inconsapevolmente sapeva, sentiva che stava
per essere trovato qualcosa di ciò che da sempre l’uomo cercava:
vincere gli elementi che gli condizionavano l’esistenza;
tra quegli elementi, ben lo sappiamo. avevano predominio la “distanza”
ed il “tempo”.
Il nostro Uomo, a differenza di una moltitudine di consimili ahimè di
nostra stessa nazionalità (l’Italia ha sempre creduto con fatica e
per ultima nel genio dei suoi figli migliori), percepì che era
sopravvenuta l’era delle trasmissioni libere attraverso lo spazio con la
stessa velocità della luce.
Ed eccolo, il nostro Uomo, fervente pioniere marconiano, Ufficiale
Istruttore per radiotelegrafisti; Direttore del Servizio
Radiotelegrafico della Somalia Italiana; progettista e Direttore lavori
delle stazioni radiotelegrafiche Mahadei Wen e Iscia Bardoa; Direttore
della Stazione Radiotelegrafica di Massaua; Direttore della Stazione
radiotelegrafica di Pola; progettista e direttore dei lavori per
l’istallazione di apparecchi ad onde corte presso la Stazione della
Regia Marina a Pechino; nominato dalla Marina Militare Italiana Capo
Servizio della Radio; progettista e Direttore dei lavori per la erigenda
prima Stazione Radiotelegrafica vaticana.
Questa, l’avventura scientifica “militare” dell’Uomo che adesso credo
sia giunto il momento di chiamare con il suo nome e cognome. Sino ad ora
ho parlato di un ragazzo prima e di un uomo poi. Di un ragazzo e di un
uomo di Portovenere; da questo momento parlerò di:
Gino Montefinale.
Ed egregi signori, comprenderete adesso il perché di questo mio dire;
dire, che è stato preambolo, cappello all’argomento principe che ha
fatto scattare quella “mia già richiamata malandata molla”.
Gino Montefinale, prima di intraprendere la successiva sua “avventura
marconiana” (è bene precisare che sino ad ora ho parlato della sua
“avventura nel mondo della Marina per la radiotelegrafia”), arrivò a
Pisa (erano i primi anni trenta), trovò signorile, calda ospitalità, sul
vostro Lungarno romantico, assolato e allora silenzioso ove alzava la
sua imponente struttura l’Albergo Nettuno (oggi come tale non mi sembra
esista più) e assunse la direzione di quel progetto grandioso di
avanguardia che trasformò la già esistente Stazione di Coltano da
normale ad ultrapotente; con ciò facendola divenire il centro
radiomarittimo ad onde corte di primaria importanza dotato di
trasmettitori Marconi.
Coltano, il suo nome nel mondo della radio venne pronunciato per la
prima volta da Marconi quando questi, venuto a Roma nel 1903 su invito
del Governo italiano, scelse questa località, compresa nella tenuta
reale di San Rossore, come ideale luogo per l’istallazione di un
impianto radiotelegrafico.
Per quanto dalle memorie scritte e verbali di Montefinale ho
potuto recepire, la costruzione del nuovo impianto, iniziata nel 1904,
subì per cause varie dei gravi ritardi. Quella che mi si disse l’odissea
del centro di Coltano fu descritta con una affermazione poco
lusinghiera:
“la parte più importante della storia della radio in Italia, con tutte
le sue peripezie tecniche, politiche ed economiche, si è svolta
praticamente a Coltano”.
Che tristezza. Ricordando questo antefatto e trascrivendo questa storica
affermazione (è di Luigi Solari), rilevo con grande rammarico e profondo
sconforto che il male italiano di allora è quello che ci perseguita
adesso e che “un vento nuovo” di recente venuto a spirare, spera di
poter sconfiggere.
La prima visita di Marconi a Coltano, questo dicono le mie memorie,
avvenne nel 1904; egli vi ritornò per l’inaugurazione della Stazione
radiotelegrafica il 19 novembre 1911 quando fu eseguito il collaudo
attraverso le trasmissioni con Massaua, Mogadiscio e Glace Bay.
In tempi recentissimi, destando in voi associati e in me in particolare
ammirazione e viva riconoscenza, ecco una giovane ragazza, studentessa
pisana di ingegneria, forse sognatrice, certamente donna “del fare” che
con la sua tesi di laurea offre a Pisa e all’Italia “il progetto di
restauro architettonico-ambientale della Stazione radiotelegrafica
Guglielmo Marconi di Coltano”.
E’ Angela Pezzini la giovane ingegnere che con violenza giovanile, buon
intuito e notevoli capacità tecniche, si inserisce nel mondo fascinoso
delle mie “memorie senza fili”.
Ed è ancora un’altra persona: attiva, capace e romantica perché pittore
e incisore e noto scrittore di Altopascio che si inserisce in queste
memorie.
E’ Alberto Parducci che con un suo dotto articolo e storico e tecnico
apparso sul periodico “Storia e Battaglie” del dicembre 2003, così
da inizio alle sue memorie:
“parlare di Coltano è per me un po’ come eseguire un tuffo nei lontani e
nostalgici ricordi afferente l’intero arco temporale degli anni compresi
tra il 1934 e il 1943…
A Coltano è legato anche il nome e il ricordo di mio nonno – continua il
Parducci - Capitano Nocchiere Francesco Barsella, di mio zio Eugenio
Barsella, di un mio amico coetaneo, Rinaldo Pifferi, figlio di un
collega di mio padre Mario Parducci (tutti membri del gruppo di tecnici
della Marina Militare che con il loro lavoro anche intellettuale
contribuirono alla costruzione, alla manutenzione ed alla conduzione
della nuova potente Stazione).”
E conclude così il Parducci:
“ancora oggi pochi e gloriosi ruderi si oppongono ai venti quotidiani,
solo la flora erbacea e arbustiva con le sue colorite tonalità continua
ad agitarsi e piegarsi al loro alitare; qua e là è possibile osservare
qualche improvviso volo di fagiani.”
Amara conclusione che certifica con tocco “macchiaiolo” lo stato di
desolante, offensivo e colpevole abbandono di una delle tante vestigia
storiche e gloriose di cui la nostra Patria è cosparsa.
Ma ringraziando il Padre Eterno (molti di noi dicono “lo stellone”),
l’Italia vera è esistita, è sopravvissuta, e, voi me lo dimostrate
ancora oggi, vive. Visse e operò allora, in quegli anni lontani. Lo fece
nonostante l’eterno persistente dilagare “dei mediocri” e il blaterare
ignorante degli “ipocriti”.
Ed infatti, visse !
…ecco l’avventura marconiana di Gino Montefinale.
Quell’avventura ebbe materiale inizio a Roma sul finire del 1925 quando
la Marina Militare Italiana lo nominò suo alto rappresentante presso il
Ministero delle Poste e Telecomunicazioni.
Roma capitale, con i suoi Ministeri, lo vide nominato Capo Servizio
della Radio.
Roma lo invia quale delegato della Marina Militare alla prima storica
conferenza radio di Washington del 1927.
Quindi ancora, nel 1932, a Madrid dove venne elaborato il primo
Regolamento Internazionale sull’impiego delle radiofrequenze.
In questo mio intervento che è di… Memorie, a questo punto e non mi
sembra una stonatura, sento si possano inserire due aneddoti.
Sono aneddoti; anch’essi legati alle “Memorie”; ve li voglio
raccontare.
Il primo è breve, ma significativo e comunque storico. E’ un
aneddoto da ricordare, da raccontare ai giovani, è parte delle “MEMORIE
storiche SENZA FILI” minori… ma non troppo:
“a Roma, sul finire del 1927, Gino Montefinale ebbe l’accortezza di far
predisporre e di consegnare personalmente al radiotelegrafista Biagi,
membro della spedizione polare del dirigibile Italia, una primordiale
stazione radio portatile a onde corte. Ne raccomandò l’uso; fu infatti
quella stazione con abilità e intelligenza utilizzata dal Biagi a far
localizzare il 7 giugno 1928 la famosa “tenda rossa” di Umberto Nobile
tra i ghiacci artici dove, ricordate, il dirigibile Italia era
precipitato.”
Un altro aneddoto?
Questo è molto personale ma per me tanto significativo ed oggi posso
affermare, anche premonitore:
con orgoglio e commozione, anche nell’occasione che
oggi mi viene offerta, intendo ricordare mio padre che, Ufficiale
di Marina, prese parte ai primi corsi di radiotelegrafia diretti da Gino
Montefinale.
Il brevetto di radiotelegrafista di prima classe di mio padre, uno dei
primi brevetti internazionali rilasciati, datato 20 aprile 1912 infatti,
riporta in calce la firma autografa del Capitano di Corvetta Capo del
Reparto Radiotelegrafico Gino Montefinale.
Questo… benedetto… Gino Montefinale, era destino che mi dovesse…
perseguitare: si pensi, poi, dopo molti anni, nel 1961, Gino
Montefinale è divenuto mio suocero.
Un altro particolare di questo aneddoto:
l’annuncio, in tempi ahimè lontani, dell’avvenuta mia nascita, fu
ricevuta da mio padre stesso, al momento in navigazione nell’Atlantico.
In quel gennaio del 1931, mio padre era in ascolto dei messaggi
lanciati nello spazio dal telegrafo senza fili di Guglielmo Marconi.
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E riprendiamo il discorso di… memorie senza fili:
memorie di tempi lontani, memorie di centocinque anni fa, tramandate da
scritti, note, racconti letti o ascoltanti dalla viva voce di
protagonisti. Protagonisti entusiasti; protagonisti che credettero,
quando molti, la maggioranza, non credeva; protagonisti giovani, che
percepirono l’evolversi dei tempi; protagonisti disinteressati,
silenziosi; uomini di mare consapevoli che quel Guglielmo Marconi
geniale, stava finalmente donando alla marineria del mondo quella
possibilità di comunicare, che annullando la solitudine, veniva ad
offrire la consapevolezza che dei naviganti:
i bisogni, le esultanze, le preoccupazioni, la salvezza;
con le notizie delle tempeste e delle bonacce,
e quelle di vita, di famiglia, di comunità, di guerra, di pericolo, era
possibile trasmetterli e riceverli.
In mare prima, poi, negli spazi infiniti, per la genialità di Marconi e
per la dedizione dei suoi fedelissimi, l’uomo non era più solo.
E per cercare di far comprendere quale fosse lo spirito di questi
giovani pionieri marconiani ecco cosa Gino Montefinale, tra i
molti suoi scritti, ricorda:
“sono sulla Regia Nave Staffetta, nel corso della mia prima campagna
d’Africa;
…a posto di manovra, sul castello di prua, un suono ritmico, metallico
e conosciuto che ha dei sibili acuti e musicali, giunge al mio orecchio:
siamo a due chilometri da terra.
Aguzzo l’orecchio, guardo – sulla bassa penisola di Abdel-Kader,
illuminata dalla luna, guizzano dei lampi violacei di scintille
elettriche. Riconosco, non credo ai miei sensi; la Stazione
radiotelegrafica di Massaua, costruita dalla Regia Marina, sotto la
direzione del Tenente di Vascello Micchiardi, è pronta.
Corro
in stazione, ricevo le prime trasmissioni, sono telegrammi diretti in
Italia, per la via di Coltano, al Ministero, a Guglielmo Marconi che è
là a ricevere.
Evviva! In questa serata storica del 14 novembre 1910, mentre l’ancora
cade pesantemente dentro il porto di Massaua, il mio cuore esulta di
questo nuovo trionfo della radiotelegrafia, di questa nuova conquista
della civiltà.
L’indomani ricevo con piacere i modesti lavoratori che hanno compiuto
questo miracolo di attività e di rapidità. Li vedo con tanto più piacere
inquantochè sono tutti miei allievi dei corsi di radiotelegrafia svolti
presso la Scuola Semaforisti di Spezia.”
Il “fidanzamento” (lo metto tra virgolette – mi piacciono le allegorie)
di Gino Montefinale con Guglielmo Marconi fu di lunga durata. Ebbe
inizio nel 1897, a Portovenere… con uno sguardo, ricordate?; gettò
fondamenta stabili nel 1900, terminò nel 1933. Nell’anno di grazia 1934
ecco che Montefinale, abbandonata la Marina e convola a giuste “nozze”
(sempre tra virgolette) con Marconi.
Posso affermare a chiare lettere che il viaggio di nozze di questa
coppia illuminata fu condotto, guidato, protetto dal superbo, celebre
panfilo Elettra.

Nel luglio del 1934 il golfo del Tigullio con la sua capitale Santa
Margherita, videro infatti la coppia compiere e seguire le esperienze di
atterraggio cieco utilizzando le trasmissioni di un radiofaro ubicato
sul litorale di Sestri Levante. Di quel fatto, ecco il ricordo scritto
di Montefinale:
“Fu quello un vero e proprio simposio scientifico svoltosi in alto mare,
davanti all’incantevole panorama della Riviera di Levante; un’intera
giornata d’acqua salsa che dovette lasciare negli esperti che vi
parteciparono, oltre all’amabile ospitalità di Marconi, l’impressione
che la tecnica delle microonde aveva segnato il suo primo goal nella
competizione con i vecchi sistemi ad onde più lunghe, fino allora
considerati più pratici”
E il matrimonio non si sciolse il 20 luglio 1937 quando improvvisamente
Marconi morì.
Il matrimonio, costruito su scienza affascinante, non ebbe il suo
epilogo neppure a secondo conflitto mondiale concluso; esso resistette
inflessibile agli urti della ridicola, vendicativa “epurazione” e trovò
naturale scioglimento solamente il 21 dicembre 1974 quando al termine
dell’anno marconiano (centesimo della nascita dello scienziato), l’Uomo
di Portovenere, Gino Montefinale, all’età di 93 anni, in piena
esuberante vitalità, improvvisamente si spense.
Un mondo senza fili, un mondo guidato da impulsi elettrici, da slanci
giovanili, da caparbia volontà di scoprire, di conoscere, di dare.
Un mondo silenzioso di uomini che umilmente, giorno dopo giorno,
studiando, pensando, provando e riprovando, viveva sul mare, sbattuto
dai flutti, affascinato da quel silenzio che pur volendolo mantenere…
silenzioso, intendevano sconfiggere.
E sul mare, dal mare gli stimoli, le scoperte, le certezze.
“Marconi, lo scienziato, fattosi uomo di mare per forza di cose, intento
a strappare segreti di natura fisica allo spazio, non nella quiete di un
posto di studio e di osservazione terrestre, ma sui ponti di un naviglio
traballante sul mare! Tutto ciò mi spiegava molte cose sul modo,
talvolta avventuroso, col quale Marconi aveva costruito la radio.”
E’ ancora questo, a finire, il pensiero di Gino Montefinale tramandato
nei suoi scritti.
E’ un insegnamento questo suo pensiero. L’ho citato e lo cito spesso
questo insegnamento, perché mi illudo (spero) che insistendo, questo
tipo di messaggio possa raggiungere la mente e il cuore di qualcuno che
oggi (o domani) è o sarà alla guida di una azienda, di una associazione,
di una amministrazione, di un gruppo (e voglio aggiungere anche di una
famiglia).
Questo insegnamento, a mio giudizio – tra le righe - , dice:
chi ha la fortuna e le doti per salire su di un “ponte” di
comando, abbia l’accortezza di scendere spesso sotto “coperta”, là
vicino agli uomini che fanno;
cerchi di vivere da vicino e intimamente, lui uomo di “ponte”, il
procedere dell’operare di coloro che “manualmente” fanno;
per capire cosa vuol dire FARE,
per comprendere ed equamente compensare quegli uomini che FANNO,
magari per FARE manualmente accanto a coloro che FANNO.
Fare, fare, fare.
Magari provando e riprovando, anche traballando, ma nel silenzio…
silenziosamente;
per sconfiggere le chiacchiere (molto in voga di questi tempi),
per dare valore e credibilità e spazio a chi vuol lavorare con coscienza
e intelligenza;
silenziosamente e molto spesso, … senza… fili (volevo dire… senza
raccomandazioni).
Illustri amici, ho finito.
Ancora
un momento però. Ho in serbo per gli egregi Lions pisani una memoria
storica che nel lontano 1974, alla Fiera di Milano, ebbi la fortuna di
promuovere e di seguire nel suo varo.
Si tratta di un filmato storico rarissimo ed esclusivo. Ve lo
propongo con piacere.
L’ho conservato nel mio archivio di lavoro. Desidero oggi farlo vedere e
farlo ascoltare a voi miei concittadini toscani che sapete e
volete onorare la MEMORIA.
Ascolterete la voce di Guglielmo Marconi che narra la “Storia della
prima trasmissione transatlantica”.
Grazie. Adesso ho veramente finito.
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