Dal ramo portovenerese della famiglia il senatore Giovanni Capellini

 

      

       La Spezia del 1833: un grosso borgo di 3000, o poco più, abitanti; una cinta, quasi trapezoidale, di mura genovesi, collegate con l’analogo castello di San Giorgio sul Poggio, la collina in cui aveva avuto principio, con pochi abituri di pescatori e di marinai, il modesto agglomerato ligustico. Si aprivano sei porte, nelle mura, ed una strada principale, in parte conservata, dalla Porta a marina andava alla Porta Genova, con i diversi nomi di Strada dritta, Prione, Caroggio dritto. La intersecava l’altra strada che dalla Porta San Giovanni, per Sant’Agostino, arrivava alla Cittadella e all’incrocio detto dei Quattro Canti si affiggevano i bandi e si davano convegno i cittadini. In quegli anni il già oscuro borgo aveva acquistato rinomanza di amena stazione balnearia, concorrendovi l’intero Golfo con le sue impareggiabili bellezze naturali, ancora intatte. Dal 1837 in poi la Famiglia Reale l’aveva sempre onorato con la sua assidua presenza.
       In un palazzotto, da tempo scomparso, sito tra la via del Carmine, la Piazza comunale ed il Corso Cavour, Giovanni Capellini aveva visto la luce il 23 agosto del 1833, da un Francesco Capellini, del ramo portovenerese trasferitosi alla Spezia al principio del secolo, una nobile Margherita Ferrarini, sua moglie, di Sarzana.
 
I Ferrarini
       Non si hanno notizie sui Capellini di Portovenere che dopo il secolo XVI, o probabilmente vi s’erano trasferiti, come tante altre casate, dalla riviera, quando l’antica colonia genovese del 1113, per la sua funzione di piazzaforte e base marittima della Repubblica, costituiva uno dei maggiori centri d’attrazione della Liguria. Successivamente, il Guglielminotti, noto storico della Marina Pontificia, cita un Pietro Capellini nato a Portovenere nel 1735, nella carica di Comito Reale della squadra romana che nel 1799 aveva fatto causa comune col popolo di Civitavecchia per opporsi all’occupazione manu militari delle truppe napoleoniche. Gliene era incorso male, ed aveva pagato con la vita il suo attaccamento alla libertà. La vedova - una Di Negri della Spezia - spoglia di tutti i beni, aveva ripreso la via dolorosa dello « Scoglio Secco » con i tre figli, dei quali il primogenito Giulio Giovanni, appena quattordicenne, raccolto da una zia materna della Spezia e istradatosi nel commercio, vi dava origine al ramo dei Capellini già citato.
       La successione d’eventi in virtù dei quali il nuovo virgulto del vecchio ceppo portovenerese, di sviluppo intellettuale precoce e fuori dell’ordinario, ma assai povero di mezzi, era riuscito ad evadere, grazie allo studio ed alla applicazione, congiunti ad una ferrea costanza, tenacemente ligure, dalla morta gora provinciale – che l’aveva avviato al sacerdozio - e ad entrare giovanissimo nel tempio magno della scienza ufficiale, è un tipico esempio di « volere è potere » da additarsi ai giovani. E poiché non é possibile riferirne per esteso in un breve articolo di giornale, chi si sentisse di affrontare — per aspera ad astra — lo stesso cammino, non avrebbe che procurarsi i due interessanti volumi dei Ricordi (Zanichelli Bologna, 1914) e leggerli attentamente. Se amante del Golfo vi troverà, tra l’altro, preziose notizie sulla Spezia della prima metà del secolo passato, sulle cospicue famiglie che ne costituivano la classe dirigente, sugli emigrati politici che vi avevano trovato asilo, nonché sui numerosi scienziati, italiani e stranieri che, a cominciare dal grande Spallanzani, erano venuti a studiarne le caratteristiche formazioni naturali.
       Prima ancora di laurearsi in scienze presso l’Università di Pisa, il giovane naturalista era conosciuto negli ambienti scientifici per le sue investigazioni paleontologiche e le sue collezioni di rocce e fossili del golfo della Spezia apprezzate dallo stesso Carlo Lyrrell, uno dei fondatori della geologia in Inghilterra che lo aveva voluto a guida delle sue escursioni nel golfo ed in Toscana.
 
L’elettricità
       Ciò che non è forse ben noto, è l’inclinazione che in un primo tempo il giovane Capellini aveva avuto per l’elettricità, allora allo stadio sperimentale, che aveva minacciato di soppiantare in lui l’egual amore pei fossili e l’archeologia preistorica. Pare che in casa avesse trovato gli avanzi di una pila elettrica a colonna, regalata dal grande Volta al barone Luigi D’Isengard – altra bella mente spezzina – e, giovandosi del tornio paterno, era riuscito a costruirsi una macchina elettrica a strofinio, e poi elettrofori quadri detti fulminanti, pistole voltiane e le parti più fini e delicate degli apparecchi costituenti l’Astuccio elettromagnetico di Leopoldo Nobili, galvanometri e perfino un telegrafo elettrico, che aveva visto presso il noto padre Cecchi di Firenze. Ricordo che, già molto avanti con gli anni e colmo di onori e riconoscimenti, egli amava mostrare agli intimi gli avanzi del suo gabinetto sperimentale, da lui conservati gelosamente nella bella « Villa dell’Agonera » a Portovenere, che avrebbe voluto destinare a sacrario della storia naturale del Golfo: ma fata trahunt...
       Ebbene, quel primo, ed in un certo modo completo, gabinetto d’elettricità contribuì molto a spalancargli la grande porta degli studi superiori. Ammirato dalla Famiglia Reale, visitato da illustri cultori della fisica, di passaggio alla Spezia, era servito soprattutto a far acquistare al Capellini preziosi mecenati e sostenitori, quali il celebre professor Meneghini, la marchesa Teresa Doria, la marchesa Isabella Oldini, madre della bellissima Nuccia (futura contessa di Castiglione), il prof.Marsili, l’emigrato prof.Caldesi, intimo di Mazzini, il prof. Bernardi, Antonio Mordini, Paolo Savi, i proff.Matteucci ed Enrico Mayer ed altri. Ma il loro appoggio, unito  a quello, un po’ scarso e tardivo, della patria municipalità, lo aveva egualmente obbligato per mantenersi agli studi, a dare ripetizioni a giovani facoltosi, ad undici lire mensili...
       Saltando a piè pari questo periodo, nel quale Capellini provava l’amara verità delle parole con le quali Cacciaguida predice a Dante l’esilio, sarebbe interessante esaminare partitamente quello della sua maggiore ascesa alle più alte vette della rinomanza, che ha inizio con la sua nomina a professore effettivo di geologia e paleontologia nell’Università di Bologna nel 1861; ma lo spazio non lo permette.
 
Le ragioni del successo
       Due furono verosimilmente le principali ragioni del successo di questo grande fattosi da sé, si può dire dal nulla: l’aver saputo leggere, con grande chiaroveggenza, fin dall’età giovanile, nel gran libro della Natura ed i numerosi viaggi, per studi e ricerche in territori esteri. La prima qualità, comune a quella dei grandi naturalisti innovatori, Linneo, Cuvier, Spallanzani, lo stesso abate Stoppani, ecc. gli permise di afferrare prontamente le teorie ed i principi della geologia stratigrafica e sperimentale, nonché del metodo paleontologico che si andavano affermando; ed i viaggi d’istruzione, oltre a metterlo in contatto diretto con i terreni, le rocce, i fossili, le caverne di una metà del globo conosciuto, traendone dati per la compilazione delle prime carte geologiche, servirono a fargli stringere preziose amicizie nel mondo scientifico e culturale, che molto contribuirono alla sua notorietà.
       Fu ad esempio il Marcou, uno dei pionieri della geologia nel Nord America a rendergli possibile nel 1863 il viaggio in questa regione, risalendo insieme, i due dotti il San Lorenzo, il Missouri ed il Mississippi per parecchie miglia, in un tempo in cui le comunicazioni erano ancora imperfette ed il territorio non del tutto sicuro.
       Numerose casse di collezioni furono inviate in patria da Nuova York a mezzo del vascello « Re Galantuomo », la nave sarda che aveva fatto sventolare per la prima volta nelle acque dell’Hudson la bandiera del giovane Regno d’Italia, e fu questa la unica facilitazione chiesta al Governo dallo scienziato-esploratore. Egli, infatti, aveva provveduto al viaggio a proprie spese, impegnando il suo stipendio presso una nobile famiglia di Bologna che gli aveva anticipato le.... 25.000 lire allora necessarie. Precedente da segnalarsi, oggi che si varca l’oceano con tanta frequenza... a spese dello Stato!
       La figura di Giovanni Capellini, per chi sa e vuole riconoscerlo, è profondamente legata alla storia naturale ed alle bellezze incomparabili del nostro Golfo, al quale volle ritornare nel declino della sua vita. Se il suo spirito aleggia ancora sulla rocce e gli strati contorti del Loregna, della Castellana, di Portovenere e delle sue isole da lui ripetutamente interrogati col non simbolico martello, per conoscere il mistero della loro origine, non potrà che condannare l’opera di devastazione fatta dagli uomini - non sempre per giustificate esigenze di difesa - di alcune delle principali attrattive del Golfo, quali il patrimonio forestale dei monti e delle isole, la Polla di Cadimare, la Grotta dei Colombi, aprentesi sulla scoscesa Caletta della Palmaria, oggetto, quest’ultima, delle sue accurate indagini sull’uomo preistorico, fatte insieme al Regalia nel 1869 e mèta di comitive scientifiche e turistiche ormai irreparabilmente deviate.

 
     
     

  

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