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Il luogo della
Spezia, che ai
primi del secolo
XIII era ancora
una pertinenza
innominata del
castello di
Vesigna (Carpena
e Vesigna erano
i centri
castellani
all’interno del
golfo) fa la sua
apparizione
nella storia
quale base
militare della
signoria di
Niccolò Fieschi
(Spezia o La
Spezia),
quando Porto
Venere e Lerici
erano già domini
di Genova; ma
nel 1273 cade
anche esso
drammaticamente
« manu militari
» sotto la
sovranità di
quest’ultima e
si sviluppa
sotto i suoi
ordinamenti. Nel
secolo XV
Bartolomeo Fazio
e il Foglietta
ne annotano la
floridezza
economica, per i
suoi vasti
rapporti
marittimi e con
l’entroterra,
che decadono nel
Seicento per le
tristi
condizioni
generali
dell’Italia. E
così restano
nonostante le
istanze,
inascoltate, di
ottenere
l’istituzione di
un porto franco
e la apertura di
strade verso la
Lombardia. Sulla
fine del secolo
XVII, dopo che
la saggezza
medicea ebbe
creato il porto
di Livorno, ogni
speranza di
fortuna
commerciale e
marittima parve
perduta per La
Spezia. Ma con
l’immissione del
mare
nell’Arsenale
(il 28 agosto
1869) «
comincia una
novella storia
». Il rapido
sviluppo della
città è
testimoniato
dall’incremento
demografico:
11.556 abitanti
nel 1861; sono
raddoppiati dopo
dieci anni;
31.565 abitanti
nel 1881; 68.803
nel 1911;
115.000 abitanti
nel 1923, quando
La Spezia viene
eretta a
provincia.
Questo, in sintesi, il quadro di sviluppo
della Spezia in
quasi sette
secoli della sua
storia, quale si
deduce dalla
monografia del
compianto
professor Ubaldo
Formentini,
ristampata lo
scorso febbraio
a cura dell’ente
provinciale per
il turismo,
diretto dal
dottor Amedeo Da
Pozzo, sotto il
titolo: «
Istituti,
popolazione e
classi della
Spezia
medioevale e
moderna ».
Il nome di Ubaldo Formentini, maestro a
tutti in
storiografia ed
archeologia del
golfo e della
provincia,
ricorre assai
spesso, come
autore, di dotte
monografie nella
bella collana
costituita
dall’EPT della
Spezia nel
trascorso
venticinquennio
(manifestazione
della quale
detiene forse il
primato in
Italia). Ma in
questo suo
scritto — che
risale al 1925 —
insieme alle
note storiche,
frutto di
accurate
indagini
d’archivio,
viene data
speciale
rilevanza al
problema
economico della
città, come
conseguenza del
suo, inconsueto,
sviluppo
demografico dopo
il 1861. Ed è
per questo che
ne è stata
promossa la
ristampa. La
situazione
economica è oggi
il problema «
numero uno »
della Spezia e
del comprensorio
di paesi che le
fanno corona
segnatamente nel
suo golfo, ed il
turismo, che è
uno dei fattori
del problema,
non poteva
disinteressarsene.
Ma quanta melanconia desta, in chi ha
assistito a fasi
tipiche dello
sviluppo
spezzino,
l’accorata
presentazione
che fa della
ristampa Massimo
Formentini, come
atto di omaggio
alla persona
dello scrittore,
a lui ovviamente
cara!
Perché - egli dice - « quello che
leggiamo in
queste pagine ha
un sapore
incredibilmente
attuale: i
problemi e le
preoccupazioni
della nostra
città al
principio del
secolo si
identificano
tristemente con
quelli di oggi.
Questo fatto non
può non farci
riflettere, ed è
tale da indurci
ad andare
indietro nella
storia della
nostra città per
cercare di
comprendere le
cause della sua
sempre precaria
situazione
economica
».
Non possiamo qui ovviamente seguire il
presentatore
nella sua
disamina e non
ci resta che
raccomandare il
volumetto alla
classe dirigente
spezzina «
mancante -
secondo Massimo
Formentini -
di una
tradizione
imprenditoriale
nell’industria,
nel commercio,
nei traffici
». Giudizio
forse un po’
severo, ma
basato sulla
impostazione
storica fattane
dal padre.
Vi si legge, infatti, che ogni volta che il
progresso
demografico nel
centro urbano
induce
l’economia
spezzina a
tentare una
nuova attività,
od a migliorare
quella già
fiorente (il
porto franco e
le vie alla Val
Padana nel
secolo XV, la
stazione
climatico-balneare
di élite nel
primo
cinquantennio
dell’800, le
industrie e il
porto in epoca
più recente e
via dicendo),
interviene una
decisione
dall’esterno a
riportare tutto,
o quasi tutto,
in un binario
d’obbligo sul
quale sembra
doversi svolgere
il destino della
città....
Vorrei concludere questa segnalazione con
la stessa
esortazione del
presentatore
dell’opuscolo: «
che non
sarebbe troppo
tardi se la
città si
decidesse a
scegliere la sua
vocazione, o le
sue vocazioni,
che possono
essere multiple
e non
incompatibili
».
Lo può fare, essendo ora cambiato qualcosa
nell’ordine
delle forze
esterne che
hanno sempre
influito sulla
sua economia:
alla vecchia
repubblica
ligure, che può
aver agito anche
in modo non
conforme agli
interessi
spezzini (pur
con le
attenuanti di
una diversa
situazione
politica
italiana e
mediterranea) è
succeduta la «
regione
democratica »
nella quale La
Spezia ha
diritto di
parità; la
marina militare,
ora che le basi
storiche hanno
perduto la loro
importanza, ha
ridimensionato
le sue esigenze
nell’ambito di
una piazzaforte
creata
macroscopicamente
al tempo di una
concezione
strategica
definitivamente
tramontata:
fissare i limiti
di una
amichevole e
fraterna
coabitazione non
può che giovare
a entrambe le
parti.
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