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Con le
manifestazioni
per San Venerio
si sono chiuse
le sagre e le
vacanze estive
nel nostro
golfo. A chi
spetta, fare il
consuntivo sulla
stagione
turistica. Il
turismo è ancora
fenomeno
fluttuante, ora
in salita, ora
in discesa e,
del resto,
riesce difficile
a chi fa
statistiche,
discriminare fra
turismo
residenziale (in
genere i
villeggianti) e
turismo nomade
(i gitanti, il
turismo di
massa). Ma di
tale, diciamo
così,
confusione,
finisce per
esser vittima
chi è preposto
alla
preparazione
delle
infrastrutture
necessarie al
proprio turismo
locale. Siamo
quindi di fronte
ad un problema
tecnico e le
amministrazioni,
o i privati, non
s’illudano di
risolverlo con
improvvisazioni.
Punto fondamentale è di stabilire quali
siano le
attrattive, o le
caratteristiche
principali sulle
quali una
località ha
probabilità di
fondare
un’attività
turistica
(residenziale o
non) duratura e
di serio e
sicuro
rendimento.
Facciamo, ad esempio, il caso dì Porto
Venere. Le sue
(ancora
imperfette)
attività
turistiche
gravitano
intorno a due
prerogative
fondamentali:
prima quella di
attirare nella
stagione
favorevole tutti
coloro che hanno
nel sangue
l’idolatria per
gli sports
nautici (vela,
motore, pesca
litoranea,
subacquea e di
alto mare). E
ciò in
dipendenza della
posizione
avanzata del
sorgitore nel
golfo ligure,
dei suoi sicuri
ancoraggi a
ridosso delle
isole, del suo
bel vento, delle
correnti marine
che rendono più
pulito il suo
mare e via
dicendo. Che ciò
sia vero, lo
dimostrano il
migliaio di
barche da
diporto
all’ormeggio
nella stagione
estiva ed i
numerosi
panfili, grossi
e piccoli, che
vi sostano di
passaggio. Il
tifoso
individuale
dell’acqua
salsa, si
trascina a Porto
Venere, oltre
alla barca,
anche la propria
famiglia, d’onde
la residenza e
tutto il resto.
Seconda prerogativa: il paesaggio naturale
è quello
conferito alla
località dal suo
borgo
anacronistico,
un frammento di
medioevo rimasto
miracolosamente
incolume sulle
rocce più
pittoresche - ma
fisicamente più
fragili – della
riviera.
Se il fattore marittimo è stato messo a
valore con le
opere tuttora in
via di
perfezionamento,
non altrettanto
si può dire per
la
caratteristica
archeologica.
Dopo la spinta
alle
ricostruzioni,
che ebbe nel
1929-34 il suo
periodo aureo,
auspice una
eletta schiera
d’intellettuali
e di esperti (il
nome
dell’avvocato
professor Mori,
tuttora vivente,
è rimasto, per
questo, ed
altro, popolare
a Porto Venere)
non si è fatto
gran che a
favore della
preservazione, e
conseguente
valorizzazione,
delle antichità
portoveneresi, e
ciò nonostante i
frequenti
richiami della
stampa, di «
Italia Nostra »,
eccetera.
Il fatto che il borgo genovese del
1113-1130, con i
resti del
castrum vetus
che contano
dodici secoli di
storia, sia
tuttora abitato,
ne fa
un’antichità
funzionale, di
eguale carattere
ed importanza a
parte le
dimensioni di
alcune località
della Toscana
(tanto per
citare le più
vicine),
Volterra, San
Gimignano, San
Miniato ed altre
minori (e perché
no
l’incomparabile
Siena?) che sono
mète agognate
del turismo di
tutto il mondo.
E lo sono perché nulla si è trascurato colà
per mantenere al
complesso
paesistico il
suo carattere
primordiale, in
armonia con i
famosi
monumenti, le
opere difensive,
eccetera, che vi
sono
incorporati, e
ciò in
particolare
nella
ricostruzione
delle strutture
urbane
danneggiate o
distrutte. Si è
così compiuto il
miracolo di
presentare al
visitatore pezzi
integrali di
medioevo,
dandogli
l’impressione
che il tempo si
sia fermato a
quelle lontane
epoche.
A Porto Venere, con un concetto opposto (od
una tradizione
che ricorda la «
panca del corpo
di guardia ») si
sono lasciate in
piedi le macerie
di un grande
incendio e di
bombardamenti
dei secoli
passati,
racchiudenti
orti
maleodoranti,
popolati di
bestioline
indesiderabili...
Per contro,
un’intelligente
ricostruzione
avrebbe ridato
ai « carrugetti
» superiori la
funzionalità e
l’interesse (se
non proprio la
poesia) di
quelli
superstiti. Ed
il borgo antico,
intelligentemente
riportato alla
sua prisca
fisionomia,
attirerebbe
assai più quel
turismo
qualificato che
oggi si va
sempre più
diradando.
Siamo certi che, cambiate le direttive, la
ricostruzione si
farà; ma non
saranno più i
portoveneresi
(la classe, in
special modo,
danneggiata dal
carovita e che
emigra alla
Spezia) a
goderne. I «
foresti »
desiderosi di
quiete e di
silenzio hanno
già in parte
accaparrato
quelle oasi di
tranquillità
lontane dalle
assillanti ed
affollate vie
del motore... e
saranno loro a
ricostruire.
Non vorremmo tediare il lettore con la
ripetizione di
cose già dette a
proposito delle
varie antichità:
il
consolidamento
delle rocce di
sostegno della
chiesa di San
Pietro (perché
non si rende
pubblico il
risultato
dell’indagine
geologica?), la
sala ipostila
del castello
superiore,
lasciata in
pieno abbandono
(è un raro
esempio che
ricorda le
costruzioni
faraoniche della
Valle dei Re in
Egitto) ed altre
ancora.
E’ lecito altresì richiedere quale sorte
sia riservata
alla collezione
di quadri e di
cimeli
portoveneresi
testé rimossa
dall’apposita
sala adibita a
museo nel
castelletto di
San Pietro. Era
stata ordinata
dallo stesso
avvocato Mori,
ispettore ai
monumenti della
provincia, e
conteneva cimeli
di grande
valore.
Porto Venere conta da alcuni anni, per la
necessaria
elevazione
culturale degli
abitanti, e per
uso di coloro
che vi risiedono
nell’estate, su
di una moderna
biblioteca
civica e
dobbiamo
riconoscere che
il comune ha la
massima cura
della sua
funzionalità.
Ciò incoraggia a
sperare che si
voglia dare uno
stabile assetto,
in sede
accessibile
adeguata,
all’interessante
raccolta di cui
sopra.
Infine, facendoci portavoce del voto
unanime del
paese, vorremmo
raccomandare
all’amministrazione
comunale — che
tanto ha fatto
per dare alla
località un
volto più
moderno e
razionale nella
sua espansione
ad est — di
affrettare nei
limiti del
possibile la
sistemazione
definitiva del
cimitero.
Tornando alle antichità, bisognerebbe
ricostruire
l’atmosfera
nella quale
furono possibili
le riattazioni
architettoniche
del ‘29-‘34; ma
purtroppo quel
cenacolo di
benemeriti che
vi dette luogo è
in gran parte
scomparso!
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