|
Fortuna, unica
al mondo, quella
della chiesetta
di San Pietro,
gioiello
architettonico
incastonato
sulle rocce più
battute dalle
tempeste del
Golfo Ligure, di
aver resistito
per un millennio
al loro assalto
ed ai
maltrattamenti
degli uomini!
L’architetto che
l’aveva
concepita doveva
possedere in
alto grado il
senso degli
effetti
pittorici dovuti
ai grandi spazi
aperti sulla
maestà
dell’infinito;
ma è certo che
la bellezza e la
suggestività del
quadretto
discendono per
gran parte dalla
cornice: delle
rocce bianche e
nere striate di
portòro, del
sovrastante «
castelletto »
che, molto
saggiamente, la
Sovrintendenza
ai monumenti
vuol riportare
alla sua forma
originale, e
della cinta di
mura genovesi
che vi fanno
capo. Scenario
più indovinato
non potevano
avere le
rappresentazioni
all’aperto, di «
tono elevato »,
che da qualche
anno vi
organizza l’ente
provinciale per
il turismo e la
pro loco, che
nel ben studiato
gioco della luce
e della valentìa
degli attori
hanno
contribuito a
valorizzarlo.
Ora non vi è da
sperare che
nella continuità
dei restauri,
così ben
iniziati a suo
tempo col
ripristino
ab antiquo
della vecchia S.
Pietro dei
pescatori e
della chiesa
abaziale del
MCXXX, e ce ne
dà affidamento
l’amore che
porta alle
vestigia
portoveneresi
l’esimio arch.
dott. Trinci
delle prefata
Sovrintendenza.
Cosi, ci
permettiamo
additare — anche
alla cortese
attenzione del
Comune — la
pavimentazione
del piazzale di
S. Pietro, il
riordino
progressivo
dell’intera
cinta di mura,
un possibile
acceleramento
dei lavori di
ripristino del
castello,
giudicato dagli
archeologi uno
dei massicci più
interessanti del
Mediterraneo. E
non bisognerebbe
dimenticare
nemmeno le Tre
Torri,
simboleggiate
nello stemma del
Comune, una
delle quali
tuttora mancante
della sua
testata a smerli
superiore,
precipitata da
anni per
vetustà.
Gli «
illustri »
Ben ha fatto il reverendo don Gerolamo
Devoto, che
regge con amore,
e tenacia
ligustica,
questa
parrocchia, a
ricordare in una
lapide dettata
in origine dal
prof. U.
Formentini i
nomi delle
personalità che
onorarono di
loro presenza la
chiesa di San
Lorenzo, dalla
lontana
consacrazione
fattane dal Papa
Innocenzo II
fino all’inizio
di questo
secolo: uomini
della fede, San
Camillo, Santa
Caterina da
Genova, San
Giovanni Bosco;
santità di
pontefici,
Gelasio II,
Alessandro III,
Innocenzo IV,
Urbano V,
Clemente VII,
Benedetto XIII,
Pio VII; grandi
e potenti,
Federico
Barbarossa,
Arrigo VII,
Carlo d’Angiò,
Carlo VI di
Francia,
Francesco II
d’Austria, Maria
de Medici,
Andrea Doria e
il duca di
Richelieu;
scrittori ed
artisti, dal
Petrarca a Byron
e a de Musset,
dal Carpenino a
Böklin, da
Wagner (nel suo
memorando
soggiorno alla
Spezia) a Von
Platen. Questa
somma di ricordi
s’aggiunge
degnamente a
quella relativa
agli altri nomi
che in tempi più
recenti, per la
solo lor
presenza,
dettero lustro
al paese: a
Giuseppe
Garibaldi che vi
sbarcò profugo e
dolorante nel
1849, a Lazzaro
Spallanzani e
Giovanni
Capellini che il
mare e le rocce
di Portovenere
frugarono e
studiarono a
scopo di ricerca
scientifica, a
Camillo Manfroni
che mise in
risalto le gesta
della marina
portovenerese
nei suoi
poderosi volumi
di storia navale
mediterranea, ai
pittori di
chiara fama,
Fossati, Luxoro,
Faldi ed altri
che illustrarono
un paesaggio
unico nel suo
genere.
Ben si addicono quindi gli sforzi di quanti
si danno da fare
per mantenere al
paese il suo
carattere e per
evitare evasioni
e brutture, che
peraltro
già hanno preso
piede, sfuggendo
alla vigilanza
delle autorità
preposte, che in
passato
cercarono di
mantenere
all’aggruppamento
delle case del
paese la
caratteristica
medioevale
d’origine,
ch’era quella di
un frammento
tolto alla
Genova dei
carrugi,
con i suoi
portali ed i
suoi tetti di «
lavagna »
strettamente
ligustici. A
Portovenere,
come in altri
centri
rivieraschi,
l’economia si va
rapidamente
trasformando:
quasi cessate le
risorse della
pesca locale,
per cause ben
note, prima la
distruzione
dinamitarda,
vergognosamente
tollerata; poca
o nulla la
partecipazione
alla marineria,
nella quale i
portoveneresi
godevano buona
fama; chiuse le
porte
all’Arsenale e
alle industrie
del Golfo;
abbandonate le
coltivazioni (i
provvedimenti
governativi e
provinciali per
la montagna si
fanno schivo
delle « zone
militari » del
Muzzerone e
della Palmaria,
ed in
quest’ultima
vivono 35
famiglie
sprovviste di
acqua potabile);
la maggior
risorsa è
rimasta il
turismo, quello
di classe e
quello spicciolo
e tutti, bene o
male, vi
s’appigliano.
Il
turismo
Non resta che sfruttarlo a fondo, come
necessità
contingente del
momento (ogni
epoca ha la sua
linea, e il
mondo ha poi i
suoi ritorni),
d’onde:
valorizzazione
speditiva ed
intelligente
delle vestigia
storiche (per il
castello ed il
castelletto sia
di sprone
l’esempio di
Lerici); strenua
difesa del
paesaggio;
miglior
presentazione
del paese agli
effetti
dell’igiene e
della nettezza
urbana (molto si
è fatto e molto
resta da fare);
incremento
dell’ospitalità
alberghiera e
problemi del
traffico. Ciò,
s’intende, non
trascurando gli
altri rami
d’attività e
cespiti
d’entrata del
paese, la cui
voce, nel
Consiglio
comunale che lo
amministra, vi è
da augurarsi che
sia maggiormente
sentita. Stupirà
udir parlare di
problemi della
circolazione a
Portovenere, il
cui profilo
ricorda quello
di una grande
galea
medioevale, con
lo sperone
tuffato nel
piccolo stretto
e la alta poppa
costituita dalla
maschia
fortezza-castello
genovese; ma è
proprio a
cagione di ciò
che il problema
si pone, ed
attende una
soluzione che
non sia in
contrasto con la
vita e gli altri
interessi del
paese. Già le
centinaia di
auto e mezzi
motorizzati
d’ogni specie
che vi
affluiscono nel
periodo
turistico (la
notte di Romeo e
Giulietta se ne
contarono 400 e
più
stazionanti!)
disturbano
notevolmente la
vita sulle
calate, le quali
verosimilmente
sono fatte per
facilitare i
galleggianti e
non possono
essere campo di
transito o di
sosta ai mezzi
terrestri.
Problema irto di
difficoltà da
affidarsi, per
una adeguata
soluzione, ad un
consesso di
esperti in
materia, anche
se la nuova
arteria (o «
lungomare » che
sia, i cui
lavori si
svolgono con
esasperante
lentezza) verrà
in parte a
facilitarlo.
Senza dubbio, la
nuova strada
permetterà,
oltre a tutto,
una conveniente
messa in valore
delle calanche e
dei declivi che
portano alla
pittorica «
punta del Cavo
», un tratto di
costa che un
nostro valente
paesaggista ha
giudicato non
inferiore a
Paraggi di
Portofino.
Collegati ai problemi accennati, vi
sarebbero quello
pedonale
degli abitanti
di Portovenere,
costretti dal
progresso a
rinchiudersi
nella loro
grande nave di
pietra, ed il
problema del
portlcciuolo, il
cui allargamento
s’impone, anche
per poter
offrire qualche
maggiore
comodità ai
numerosi
yachts da
diporto che vi
fanno scalo
durante la
stagione estiva;
ma la tirannide
dello spazio mi
consiglia a
cedere ad altri
la parola in
argomento.
|
|