Un angolo per pittori e poeti

 

       Forse non siamo in molti a ricordare Portovenere di cinquanta-sessant’anni fa: un po’ sonnolento — un po’ spopolato — anche perché molti degli uomini navigano al lungo corso e l’emigrazione era abituale; molto assetato, per la mancanza di un provvido, salutare acquedotto (oggi insufficiente, per le accresciute necessità ed incapace a dar acqua alla Palmaria, che a ragione la reclama), soprattutto molto tranquillo, nella pittorica cornice delle sue rocce portorine, dei folti boschi coi pini scendenti fino al mare non ancora devastati dai turismo incendiario, delle vigne prosperose e dei secolari oliveti, tramandati le une e gli altri, come prezioso patrimonio di lavoro e di tenacia ligure, dalle lontane generazioni. Era mèta abituale di pittori di buona fama per lo più fiorentini inglesi e tedeschi, e di modeste comitive domenicali dalla Spezia e dal Golfo, attirate dalle zuppe di datteri che vi ammannivano due o tre cucinieri di rinomanza, primeggiando nella vecchia torre del 1113, l’antica trattoria del Piccinò, forse negli stessi locali ricordati da George Sand in uno dei suoi romanzi. A trasportarle bastavano i caratteristici vaporetti lericini, con le loro poche corse itinerarie, od un traballante tram a cavalli delle scuderie spezzine Cecchi, che per altro solevano fornire altresì le loro vistose “pariglie” con tiri a due e quattro cavalli, a facoltose famiglie della Spezia, per le quali la gita domenicale a Portovenere, costituiva l’ambito premio delle fatiche settimanali. Né ivi mancava la nota vivace della Marina, ch’era allora vanto e primato — ahi quanto ingiustamente perduto! — del nostro Golfo. Ben poca cosa, nell’estate, la colonia bagnante, ma generalmente scelta, in quanto amante, più del “rumore mondano”, della salubrità e freschezza dell’aria e dell’incomparabile e genuino ambiente d’acqua salsa offerto dal pittoresco sorgitore e dalla sua corona di isole, queste ultime ritenute, dagli strateghi del tempo, baluardi insuperabili di difesa della piazzaforte e del suo arsenale.
       Il precedente creato dal grande Lazzaro Spallanzani aveva fatto Portovenere meta di scienziati e Giovanni Capellini, geologo spezzino di fama mondiale, l’aveva scelto a sua dimora quasi abituale, attirandovi personalità di alta rinomanza. Fra gli altri, ricordo il senatore D’Andrade, allora emerito sovrintendente ai monumenti della Liguria e Piemonte, richiamando così per la prima volta l’attenzione dell’autorità competente sulle interessanti vestigia medioevali di Portovenere, in pieno abbandono e decadenza. Fra l’altro, nella chiesa di S Pietro e sue adiacenze era stata impiantata una foto-elettrica della Marina, con tanto di caldaie a vapore alimentatrici (allora non esistevano i comodi motori a scoppio, ne le linee elettriche industriali) ed un distaccamento di marinai occupava in permanenza il castelletto, ora adibito a museo. Fu il punto di partenza (intorno al 1896) per la valorizzazione delle antichità di Portovenere e sono noti gli svolgimenti successivi per l’interessamento di altre personalità, quali il prof. Camillo Manfroni, illustre storiografo delle marinerie italiane medioevali, Ubaldo Mazzini, il prof. Mori, il prof. Formentini ed altri valenti cultori dell’archeologia ligure. Purtroppo, le attuali difficoltà ostacolano il completamento di un programma che ovviamente non poteva limitarsi al ripristino di due chiese e delle adiacenti attinenze, e, se ben ricordiamo, comprendeva un decoroso ed adeguato riassetto del Castello superiore — una delle più apprezzate vestigia dell’architettura militare Mediterranea — nonché delle tre torri, delle mura e dei caratteristici Torrioni d’entrata al munito borgo ligustico. Ma nostro parere, la questione va tenuta in evidenza, ed in attesa, l’insieme delle vestigia non può essere abbandonato all’azione corrosiva del tempo ed a quella deturpatrice degli uomini (la torre maggiore si lascia affumicare da un forno a nafta ed il castello è praticamente inaccessibile ai visitatori, dato lo stato degli  approcci). Sì dirà: Portovenere è ormai troppo nota per preoccuparsi della sorte dei suoi cimeli d’antica grandezza! Nei mesi di punta, infinità di mezzi moderni, terrestri e marittimi, vi scaricano intere folle di turisti e le sue scogliere rigurgitano di bagnanti; gli esercenti fanno buoni affari e molta povera gente si arrangia. Verissimo, ma si sa che, tolto il turismo della gozzoviglia e della licenziosità, fortunatamente in minoranza, la gran massa degli “aficionados” dello “scoglio secco” lo frequenta in quanto attratta dalla sua originalità, che non ha nulla in comune con altre spiagge “alla moda” vicine e lontane. Portovenere, col suo San Pietro, stranamente incastonato su di un faraglione battuto dalle tempeste  — simbolo duraturo, si direbbe, della continuità dell’istituzione Divina alla quale si collega — le sue torri e le mura completate dalle case-fortezza sul mare: un gioiello pittorico da conservare gelosamente ed immune da ogni deturpazione. Così sentii affermare da molte personalità, da Giovanni Capellini a Guglielmo Marconi, che non mancava mai di ancorarvi con la sua “Elettra” ogni volta che la sua nave magica capitava in arsenale per lavori, o per esperienze in unione alla nostra Marina.
       Ben ha fatto l’Ente Provinciale del Turismo ad elevare il livello delle manifestazioni annuali con gli spettacoli all’aperto e quest’anno il “Giuda” di Pagnol ha incontrato, oltre a tutto, il favore della popolazione locale, di fondo squisitamente cattolico, nonostante il soffiar del vento di “sinistra”.
       Ora la gran nave di pietra si avvia gradualmente verso il consueto assetto invernale e rinforza i suoi ormeggi per resistere, come resiste impavida da più di otto secoli, all’inclemenza del Golfo Ligure. E’ tempo di lavori, quello della strada litoranea iniziata dal Comune già da vari anni appare il più urgente. Per vero, l’imponenza del lavoro non fa ritenere che si possa condurre a termine in breve tempo, con gli scarsi fondi assegnati ai “cantieri di rimboschimento”, e ad ogni modo l’asfaltatura del primo tratto è richiesta dagli utenti con molta sollecitudine. C’è anche da augurarsi che, pur non completata, la strada risolva il problema dei parcheggi degli automezzi a Portovenere, divenuto assillante, restituendo così le calate del piccolo e già insufficiente porticciuolo alla loro funzione essenzialmente marittima e di sfogo pedonale alla popolazione.

 
     
     

  

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