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Esiste più la
Grotta, dei
Colombi
all’isola
Palmaria? La
domanda mi è
spesso rivolta
da vecchi e
giovani
estimatori delle
bellezze,
curiosità o mète
turistiche del
nostro golfo, o
da amici gitanti
passando con
imbarcazioni
sotto i
pittorici
strapiombi
calcarei, a
strati rotti,
rovesciati o
contorti, che
formano la
caratteristica,
se non la
principale
attrattiva,
dell’isola.
Ebbene, mi
assicurano che,
malgrado le
lacerazioni
subite
tutt’intorno dal
terreno, per
l’escavazione
del marmo
portòro, il
famoso antro
abitato dagli
uomini
preistorici —
come dimostrano
i resti e le
armi, dì epoca
anteriore a
quella della «
pietra levigata
» raccolti nel
museo della
Spezia —
continua a
sussistere, pur
essendo
pressoché
compromesso
l’accesso.
Ricordo di avervi fatto varie escursioni in
gioventù, una
delle quali al
seguito
dell’illustre
scopritore della
grotta Giovanni
Capellini, che
vi guidava
naturalisti
stranieri suoi
ospiti nella
bella villa di
Porto Venere.
Vi
si accedeva
dalla poetica
cala del
Pozzallo,
salendo per un
tortuoso e
profumato
sentiero fra i
pini: una
piccola valle
del Paradiso
dove gli Accorsi
di Sarzana
avevano
costruito una
rustica
villetta. E
giunti al sommo
del dosso
verdeggiante,
ecco aprirsi
improvviso ai
margini del
sentiero
l’orrido dei
dirupi marini
che stanno fra
la Punta del
Pitone ed il
Capo dell’isola
(nei pressi
della Caletta).
Trovandosi l’entrata della grotta a metà
costa (una
cinquantina di
metri sul mare)
per giungervi
bisognava
discendere un
impervio
canalone, con
rari pini o
pinotti come
punti d’appoggio
e ritenuta; ma
agli
escursionisti
più prudenti era
data la guida
più sicura di
una corda ben
assicurata al
punto d’inizio
della discesa.
Più del ripido
sentiero, sotto
il quale il mare
spumeggiava,
faceva
impressione il
dover
costeggiare,
all’inizio
l’orlo
sdrucciolevole
di una voragine
del terreno, una
specie di
cratere senza
fondo la cui
bocca superiore
aveva il
diametro di una
decina di metri,
e che ora
sarebbe stato
riempito con i
detriti delle
cave.
Per la descrizione particolareggiata della
grotta, rimando
alle
pubblicazioni
del Capellini
disponibili
presso la
biblioteca
civica della
Spezia. Dirò
solo ch’era
piuttosto
malagevole
pervenire alla
grande « Sala
dei Trogloditi »
a pianta
rettangolare (o
quasi) con lato
maggiore di 21
metri e
larghezza 8
metri circa; ma
gli scarsi mezzi
d’illuminazione
d’allora non
permettevano di
valutarne
l’altezza.
Occorreva
infatti
percorrere «
gatton gattoni »
alla fioca luce
delle lampade
portatili del
tempo un basso
cunicolo (di
altezza media un
metro e trenta)
lungo 25 metri!
Ben avevano
scelta, in fatto
di sicurezza, la
loro dimora i
nostri lontani
progenitori
della età della
pietra!
Sembra che la prima indicazione
dell’esistenza
della grotta sia
stata fornita al
giovane geologo
Capellini dallo
scrittore
spezzino
Agostino Falconi
nel 1860; ma
Capellini la
esplorò per la
prima volta nel
1869 insieme al
dottor Simone
Bollo di
Moneglia ed a G.
Batta Sturlese
di Campiglia. In
seguito la
grotta fu mèta
di ricerche e
preziosi
ritrovamenti
(paragonabili a
quelli dì
analoghe caverne
di Francia,
Spagna, Belgio,
eccetera)
oltreché da
parte del
Capellini
stesso, da Regaglia,
Carassi, Ubaldo
Mazzini ed altri
studiosi. E fu
per molti anni
mèta ricercata
di naturalisti,
speleologi o
semplici
escursionisti,
anche se ormai
priva
dell’interessante
materiale
scientifico che
ha trovato degna
sede nei musei.
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