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Il
lettore non ben
documentato su
Porto Venere,
nell’osservare
la foto di una
libecciata di
forza
eccezionale che
sbatte a
perpendicolo
tonnellate
d’acqua salsa
sui muri di San
Pietro, che
hanno pietre
vecchie di più
di tredici
secoli (la
testimonianza
più lontana è
nelle lettere
del pontefice
San Gregorio
Magno dell’A.D.
594), potrà
dubitare che
l’antichissima
chiesa (o il
complesso di
chiese che la
compongono)
possa essere
ancora
officiata. Lo è
infatti solo
nella stagione
propizia; ma i
riti
matrimoniali,
nei quali la
fede s’accoppia
a un sano
romanticismo, vi
sono
abitualmente
numerosi tutto
l’anno. E non da
parte dei soli
abitanti del
golfo...
I muri perimetrali, il campanile romanico,
la chiesetta
paleocristiana,
il tempio gotico
del 1270 e i
resti
dell’abbazia
bizantina, pur
attaccati e
corrosi dal
salmastro
resistono al
furore delle
tempeste, specie
dopo le provvide
ricostruzioni
del 1929-1934
(ma quaranta e
più anni di
trascurata
manutenzione
sono troppi...).
Per contro, è l’impalcatura, in roccia
dolomitica
bianco-nera,
sulla quale
sorge l’insigne
e pittorico
monumento (ormai
popolare fra i
turisti di ogni
provenienza), a
lanciare da un
decennio l’SOS.
E ciò per mano
d’insigni
archeologici, di
geologi, di
scrittori
(ricordo fra gli
altri Gastone
Imbrighi e Mario
Soldati), dello
stesso municipio
di Porto Venere,
della
soprintendenza
ai monumenti e
via dicendo.
Il fatto che la chiesa sia costruita sulla
prua a sperone
della gran nave
rupestre di
Porto Venere, dà
all’osservatore
sommario e
frettoloso una
tranquillità
ingannatrice
sulla stabilità
del venerando
edificio.
L’esame più ravvicinato mostra chiaramente
che è stata
l’erosione
secolare del
mare a dare al
massiccio
roccioso la
forma anzidetta.
In effetti, la
chiesa posa su
di un mammellone
a strapiombo,
minato alla base
da uno squarcio
a solco, che il
tempo e
l’imperversare
delle tempeste
non può che
approfondire
sempre più. E’
la lenta,
inevitabile
preparazione
dello
slittamento di
strati che ha
dato luogo alle
frane dell’Arpaia
(l’Arpà dei
portoveneresi,
di byroniana
memoria).
Va anche notato che la stabilità di tutto
il complesso
archeologico
(compreso,
quindi, il
Castelletto, già
pinacoteca
comunale) è
fatalmente
insidiata
dall’azione del
mare nella
sottostante
grotta del Faìon.
Qui, nelle
libecciate, il
mare comprime
l’aria a
centinaia di
atmosfere e la
rigetta con
fragore di
cannonate,
imprimendo
fremiti di
terremoto a
tutte le
sovrastrutture...
Se nulla si può fare contro tale furia
naturale,
qualcosa è
invece
realizzabile per
rafforzare il
basamento sul
quale poggia
direttamente la
piccola (ma
grande, nel suo
valore etico e
turistico)
vestigia
cristiana,
costituente la
maggior
attrattiva di
Porto Venere e
del nostro
Golfo.
E’ stato fatto qualche progetto? Sono stati
destinati dei
fondi, e da
quale ente
responsabile? La
chiesa di San
Pietro è
considerata di
pertinenza
municipale dal
1799-1800,
quando milizie
austro-russe,
dapprima, e
francesi poi la
resero
inofficiabile:
del soffitto ne
era stata fatta,
insieme ai
quadri, legna da
ardere; furono
tolte le
campane. I
francesi, nel
successivo lungo
dominio del
golfo, vi
avevano
sistemato dei
cannoni, a
difesa degli
attacchi della
flotta
assediante di
Nelson.
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