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In questa estate
nella quale
l’uomo ha messo
il piede sulla
Luna e col suo
occhio
elettronico ha
cominciato a
svelare i
segreti di
Marte, sembra
anacronistico
rievocare eventi
della nostra
religione che
appaiano lontani
nel tempo e
nella mentalità
degli uomini; ma
così non è.
L’uomo, con le
sue macchine
prodigiose non
ha scoperto, né
scoprirà mai, il
mistero dell’«
al di là » e un
esimio
giornalista
scrisse — nei
fatidici giorni
della Luna —: «
Vedendo il
piede dell’uomo,
ingrandito dallo
scafandro,
toccare il suolo
lunare, invece
di applaudire
(io e mio
figlio) ci
facemmo il segno
della croce
».
La storia della Madonna Bianca, protettrice
di Porto Venere,
è, sotto alcuni
aspetti, diversa
da quella delle
icone miracolose
venerate nei
cinque santuari
che sorgono a
cavaliere della
costa dirupata
compresa fra
Punta Mesco e il
capo di
Montenero a
Riomaggiore
(rimandiamo, per
chi non la
conoscesse, alla
pubblicazione
parrocchiale «
Guida turistica
alle antiche
chiese, eccetera
di Porto Venere
») ma ha
parallelismi con
alcune di esse,
e tutte ne hanno
col primo
monachesimo
nelle isole e in
terraferma
nell’epoca di
San Venerio.
Ciascuno dei santuari ha un suo proprio
carattere:
nobile per
venustà d’arte,
come quelli di
Reggio sul colle
omonimo a
Vernazza e di
Volastra a
Manarola, umile
come il
santuario di San
Bernardino e di
N. S. delle
Grazie a
Corniglia,
semplice o ricco
- come quelli
rispettivamente
di Montenero a
Riomaggiore e di
Soviore a
Monterosso.
Ciascuna delle
icone ha la sua
tradizione, che
racconta di
immagini venute
dall’Oriente,
dipinte da San
Luca, medico ed
evangelista, e
sottratte alla
persecuzione
iconoclasta
ordinata
dall’imperatore
Leone III l’Isaurico;
alcune di esse
nascoste dagli
abitanti in
luoghi impervi
per sottrarle
alle distruzioni
e depredazioni
di orde
barbariche in
particolare del
longobardo
Rotari che nel
641 d. C. mise a
ferro e a fuoco
tutta la riviera
di Levante: poi
ritrovate, a
distanza di
tempo, in
seguito a
qualche
prodigiosa
indicazione.
E’ questo il caso tipico del santuario sul
Montenero di
Riomaggiore: un
gruppo di achei
profughi, ai
quali si
attribuisce la
fondazione del
borgo, è latore
dall’Oriente di
un’immagine
della Vergine
del pittore
evangelista e vi
dedica una
cappella sul
monte, poi
abbandonata
all’incalzare
dei barbari,
mettendo la tela
in luogo sicuro.
Essa è ritrovata
per divino
prodigio un
secolo dopo (nel
740) e sul luogo
stesso
dell’antica
cappella viene
costruito
l’attuale
santuario, che
però è da alcuni
attribuito all’Xl
secolo od ai
primi del secolo
XIII.
Da notarsi che una immagine dell’epoca
esisteva nel
convento di San
Giovanni alla
Palmaria
(periodo di San
Venerio) e fu
poi trasportata
dai monaci del
Tino nel
convento degli
Olivetani alle
Grazie
costituendo
tuttora uno dei
maggiori centri
d’attrattiva
religiosa del
golfo e del suo
entroterra.
Celebre, fra gli altri il santuario di
Soviore, a
cavallo delle
tre valli che
s’affacciano
rispettivamente
a Levanto, a
Monterosso ed a
Vernazza. A
Soviore la sacra
immagine non è
una tela
bizantina, ma
una statuetta
scolpita in
legno duro che,
dipinto a vivaci
colori, resiste
ancora all’usura
del tempo e
raffigura la
Madre la quale
tiene sulle
ginocchia il
Figlio deposto
dalla Croce.
Secondo la
tradizione
l’icona era
venerata ad
Albereto, un
vicino abitato
sull’antica «
via romea »
forse di origine
etrusca;
all’avvicinarsi
del ciclone
barbarico, gli
abitanti fuggono
a Rubra (colonia
romana
fortificata,
l’attuale
Monterosso) dopo
aver seppellito
l’immagine in
una fossa. Dopo
più di un secolo
essa è
ritrovata,
ripetendosi una
tradizione
analoga a quella
di Montenero,
che inizia con
la costruzione
di una cappella
poi trasformata
in chiesa
romanica per
ampliarsi
nell’attuale
santuario con
bellissimo
portale
trecentesco a
bifore.
Dei tre santuari di Manarola, Vernazza e
Corniglia, il
primo ha per
tradizione il
rinvenimento
miracoloso (più
recente) di una
tela che viene
collocata nel
periodo di
transizione tra
il Rinascimento
e il ‘600 ed il
secondo
un’immagine
egualmente
dipinta in tela
(la Madre col
Bambino)
attribuita alla
prima scuola
bizantina
dell’Evangelista
San Luca.
Ma dove più risalta il parallelismo con la
tradizione della
Madonna Bianca
di Porto Venere
è nella
taumaturgica
Effige
conservata nel
santuario di
Corniglia, uno
dei più
interessanti
delle Cinque
Terre, anche per
l’incantevole
panorama che si
offre allo
sguardo dalla
sella nella
quale San
Bernardino da
Siena pose la
cappella che vi
dette origine.
Un dipinto della Vergine su tela in stile
bizantino,
venerato dalle
origini nella
cappella, con
l’andare degli
anni era ridotto
in deplorevoli
condizioni, ed
era stato deciso
di sostituirlo
con una nuova
Immagine, e poi
addirittura con
una statua. Ma
mentre questa
era in corso di
benedizione dal
vescovo a
Monterosso,
passati di
ritorno dalla
Spezia, nella
notte del sabato
santo scorgono
la cappella
illuminata e in
gran festa. In
breve, la tela
sbiadita e
secolare
riprende i suoi
vivi colori ed
appare rinnovata
al popolo
esultante, come
per l’identico
prodigio che
nella casa del
Lucciardo a
Porto Venere
aveva dato
inizio al culto
della Madonna
Bianca, ma con
notevole
differenza di
data: nel 1399 a
Porto Venere,
nel 1772 a
Corniglia.
Ma, a parte l’epoca in cui queste tele o
statue, hanno
rivelato il loro
potere
taumaturgico,
colpisce il
fatto ch’esse
siano accomunate
da un’origine
antichissima che
gli esperti in
storia dell’arte
non hanno potuto
accertare con
precisione. Solo
per la Madonna
Bianca - ch’io
sappia - il
compianto
professor Ubaldo
Formentini ha
emesso il parere
che si tratti di
un disegno a
penna su
pergamena, di
scuola
fiorentina del
‘300. Per le
altre Immagini
miracolose, mi
sembra valida
l‘opinione di
Michelangelo
Castaldo (borghi
e santuari delle
Cinque Terre,
edita dall’EPT,
La Spezia) che
siano state
portate in
questi luoghi
dai monaci e
dalle
popolazioni
fuggite alle
persecuzioni
dell’imperatore
Leone III l’Isaurico,
morto nel 740 E.
C.
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