1961 - San Pietro di Porto Venere contro i pirati e le libecciate

 

      

        A San Pietro la libecciata attira assai più bagnanti e turisti di quanto non faccia la bonaccia solatia: i più arditi si spingono a godersi lo spettacolo insolito del mare in tempesta sull’alta terrazza della chiesa; ma ciò non sarebbe possibile nelle grandi mareggiate autunnali o d’inverno, quando tonnellate d’acqua salsa si scagliano contro la punta ed altrettante ne respingono gli strapiombi calcarei e le grotte con fragore di cannonate, e raffiche da cento all’ora impregnate di salino, sembrano voler schiantare la chiesetta e le mura d’intorno che resistono da parecchi secoli.
        Dicono gli archeologi che l’antico Portus Veneris, l’approdo romano del golfo elencato nella Istruzione geografica  di Claudio Tolomeo del 150 d.C. e nell’Itinerario marittimo dell’imperatore Antonino Augusto del 161 d.C., sorgeva proprio su questa punta, estendendosi fino al sottotante piazzale Lazzaro Spallanzani, e che dominava il piccolo aggruppamento di case un modesto tempio pagano (forse dedicato a Venere) ed un castello, le cui pietre sono andate confuse con le altre dei templi cristiani e delle fortificazioni che vi furono sovrapposte (la chiesetta paleocristiana del V-VI secolo con l’annessa abbazia, la bella chiesa in gotico-genovese del 1277, l’attuale «castelletto», le mura).
        E si pensa come doveva essere grama la vita su quel paesotto di pescatori e d’agricoltori — non molto dissimile dagli attigui delle Cinque Terre, egualmente appollaiati sulle rocce — quando la libecciata lo flagellava con le sue raffiche salmastre: non vi poteva essere altra soluzione che quella di sbarrarsi in casa, stando « alla cappa » come i velieri d’altri tempi, affidandosi al tempio tutelare sull’alto del travagliato promontorio! Ma, col tempo buono la vita dell’approdo doveva svolgersi — come nelle epoche successive — sulla «spiaggia» (chiamata plagia nell’atto di cessione ai genovesi del 1113 e ciasa nelL'antica playa di Porto Venere dialetto portovenerese), non essendo concepibile che ciò potesse avvenire nelle scogliere di San Pietro e tanto meno nella byroniana cala dell’Arpaia. Questa sua funzione, per il ricovero, l’armamento, l’alloggio e il raddobbo del piccolo naviglio e dei «gozzi» a ciasa la svolgeva particolarmente ed intensivamente durante la stagione della pesca delle acciughe quando se ne servivano le numerose «manaite»  che dalle riviere convergevano a Porto Venere, prima che esse fossero spodestate dalle micidiali lampàre....
        Che resta oggi dell’ampia, animata e caratteristica, un po’ chiassosa, spiaggia di Porto Venere? Solo il ricordo! Ma non meno delle altre, amene e deliziose fra corone di scogli che si susseguivano lungo l’incantevole calanca dell’Olivo.
        Ma torniamo al Portus Veneris, più riposante, e meno sofisticato, di un tempo. Con l’avvento del Cristianesimo sul tempio pagano venne costruita la prima chiesa paleocristiana, contemporanea ad un oratorio sul Tinetto, del quale restano le vestigia, e vi sono documenti che la chiesa esisteva, insieme con un convento benedettino, nell’anno 594 (epoca di S. Venerio): ma l’una e l’altro non ebbero vita facile nel periodo che sta fra la morte del Santo e l’anno 1000 circa. Morto Maometto nel 632 i califfi suoi successori mossero alla conquista del Mediterraneo e stabilitisi a Frassineto nella vicina Provenza imperversarono contro la fiorente Luni, contro Genova e le due riviere, contro i monasteri del Tinetto (che forse era allora unita al Tino), della Palmaria e di S.Pietro e lo stesso Portus Veneris andò a rischio di essere cancellato dalle primitive carte nautiche (od itinerari marittimi) medioevali nei quali l’approdo occupava un posto rilevante.
        Ma come al cessare della libecciata ritorna il sereno dai quadranti del nord, così la ripresa della potenza di Genova sul mare ed infine la cacciata dei Saraceni dalla Provenza, dalla Corsica e dalla Sardegna, permisero ai signori di Vezzano di ridare a Porto Venere la sua funzione primitiva. Come prima cosa ricostituirono la chiesetta di S. Pietro della quale si scorge tuttora l’abside e un tratto del pavimento nella parte nord della costruzione; nel 1050 fu costruito (o ricostruito) il monastero di San Venerio al Tino, che assunse grande importanza in tutta la regione e le isole di Palmaria, Tino e Tinetto furono assegnate in donazione ai monaci benedettini i quali, fedeli al programma del loro fondatore Ora et Labora, le portarono grande fioritura. Fra l’altro furono essi a porre le basi degli uliveti e dei vigneti assai rinomati dei quali non resta quasi più traccia (mentre ad eguale sorte si stanno avviando i già floridi uliveti della terraferma...)
        In complesso, salvo le sporadiche incursioni dei Pisani e di altri nemici di Genova, vi fu pace nelle opere agricole ed in quelle della fede fino al 1500, in cui il golfo della Spezia fu nuovamente la meta favorita di terribili incursioni dei pirati turchi e tripolitani, particolarmente fra il 1560 e il 1570; ma esse cessarono del tutto dopo che l’orgoglio della mezzaluna fu fiaccato nella gloriosa vittoria della Cristianità a Lepanto.
        Al turista intelligente che visita Porto Venere, non per soli scopi materiali, ma anche per sana distensione intellettuale, non dovrebbero sfuggire quelle particolarità d’interesse storico ed artistico che concorrono a dare alla località una caratteristica così diversa da quelle di altre mète turistiche più o meno alla moda; la cerchia, ben conservata, delle mura genovesi del 1160-1161; il grande castello superiore del secolo XVI, lasciato in stato di completo abbandono, di difficile accesso e che attende tuttora l’invocata e decorosa riutilizzazione; la chiesa di San Pietro, nella quale lo stile romanico delle più antiche chiese genovesi (S. Giovanni di Prè, 8. Maria delle Vigne, S. Matteo ecc..) si fonde con quello gotico che nella Riviera di Levante ebbe il suo prototipo nella basilica  di S. Salvatore di Lavagna e diede un opera gemella nella cappella di Santa Anastasia a Lerici; ed infine tipicamente romanica, la grande chiesa abbaziale di San Lorenzo, il cui primo impianto data dal 1116 (tre anni dopo l’acquisto dello oppidum da parte dei consoli della Compagnia genovese).
        Fu edificata per opera dei magistri Antelami, famosa consorteria di maestri lapidici e muratori della Valle d’Antelamo sul lago Maggiore. È indubbiamente uno dei più insigni monumenti della Liguria, anche a motivo delle drammatiche peripezie cui andarono soggette le sue pietre consunte, nei lunghi secoli della storia.
        Porto Venere attraversa ora un periodo d’intensi rinnovamenti e si ha l’impressione che voglia scuotersi di dosso la patina dei suoi molti secoli di vita; ma sarebbe un male che accanto al Porto Venere tradizionale, dal classico profilo e dagli aspetti pittorici apprezzati da artisti ed amatori di tutto il mondo se ne costruisse uno di tipo convenzionale e per giunta facendo scempio delle tante cose belle, compreso il verde delle pendici e gli scogli delle spiagge del nostro bel mare che ne costituiscono la grande, insostituibile attrattiva. Oggi che le «grida» hanno così poco valore, non resta che affidarsi al buon gusto e al senso della misura dei singoli imprenditori.

 
     
     

  

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