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A San Pietro la
libecciata
attira assai più
bagnanti e
turisti di
quanto non
faccia la
bonaccia
solatia: i più
arditi si
spingono a
godersi lo
spettacolo
insolito del
mare in tempesta
sull’alta
terrazza della
chiesa; ma ciò
non sarebbe
possibile nelle
grandi
mareggiate
autunnali o
d’inverno,
quando
tonnellate
d’acqua salsa si
scagliano contro
la punta ed
altrettante ne
respingono gli
strapiombi
calcarei e le
grotte con
fragore di
cannonate, e
raffiche da
cento all’ora
impregnate di
salino, sembrano
voler schiantare
la chiesetta e
le mura
d’intorno che
resistono da
parecchi secoli.
Dicono gli archeologi che l’antico
Portus Veneris,
l’approdo romano
del golfo
elencato nella
Istruzione
geografica
di Claudio
Tolomeo del 150
d.C. e nell’Itinerario
marittimo
dell’imperatore
Antonino Augusto
del 161 d.C.,
sorgeva proprio
su questa punta,
estendendosi
fino al
sottotante
piazzale Lazzaro
Spallanzani, e
che dominava il
piccolo
aggruppamento di
case un modesto
tempio pagano
(forse dedicato
a Venere) ed un
castello, le cui
pietre sono
andate confuse
con le altre dei
templi cristiani
e delle
fortificazioni
che vi furono
sovrapposte (la
chiesetta
paleocristiana
del V-VI secolo
con l’annessa
abbazia, la
bella chiesa in
gotico-genovese
del 1277,
l’attuale
«castelletto»,
le mura).
E si pensa come doveva essere grama
la vita su quel
paesotto di
pescatori e
d’agricoltori —
non molto
dissimile dagli
attigui delle
Cinque Terre,
egualmente
appollaiati
sulle rocce —
quando la
libecciata lo
flagellava con
le sue raffiche
salmastre: non
vi poteva essere
altra soluzione
che quella di
sbarrarsi in
casa, stando «
alla cappa »
come i velieri
d’altri tempi,
affidandosi al
tempio tutelare
sull’alto del
travagliato
promontorio! Ma,
col tempo buono
la vita
dell’approdo
doveva
svolgersi —
come nelle
epoche
successive —
sulla «spiaggia»
(chiamata
plagia
nell’atto di
cessione ai
genovesi del
1113 e ciasa
nel dialetto
portovenerese),
non essendo
concepibile che
ciò potesse
avvenire nelle
scogliere di San
Pietro e tanto
meno nella
byroniana cala
dell’Arpaia.
Questa sua
funzione, per il
ricovero,
l’armamento,
l’alloggio e il
raddobbo del
piccolo naviglio
e dei «gozzi» a
ciasa la
svolgeva
particolarmente
ed
intensivamente
durante la
stagione della
pesca delle
acciughe quando
se ne servivano
le numerose «manaite»
che dalle
riviere
convergevano a
Porto Venere,
prima che esse
fossero
spodestate dalle
micidiali
lampàre....
Che resta oggi dell’ampia, animata e
caratteristica,
un po’
chiassosa,
spiaggia di
Porto Venere?
Solo il ricordo!
Ma non meno
delle altre,
amene e
deliziose fra
corone di scogli
che si
susseguivano
lungo
l’incantevole
calanca
dell’Olivo.
Ma torniamo al Portus Veneris,
più riposante, e
meno
sofisticato, di
un tempo. Con
l’avvento del
Cristianesimo
sul tempio
pagano venne
costruita la
prima chiesa
paleocristiana,
contemporanea ad
un oratorio sul
Tinetto, del
quale restano le
vestigia, e vi
sono documenti
che la chiesa
esisteva,
insieme con un
convento
benedettino,
nell’anno 594
(epoca di S.
Venerio): ma
l’una e l’altro
non ebbero vita
facile nel
periodo che sta
fra la morte del
Santo e l’anno
1000 circa.
Morto Maometto
nel 632 i
califfi suoi
successori
mossero alla
conquista del
Mediterraneo e
stabilitisi a
Frassineto nella
vicina Provenza
imperversarono
contro la
fiorente Luni,
contro Genova e
le due riviere,
contro i
monasteri del
Tinetto (che
forse era allora
unita al Tino),
della Palmaria e
di S.Pietro e lo
stesso
Portus Veneris
andò a rischio
di essere
cancellato dalle
primitive carte
nautiche (od
itinerari
marittimi)
medioevali nei
quali l’approdo
occupava un
posto rilevante.
Ma come al cessare della libecciata
ritorna il
sereno dai
quadranti del
nord, così la
ripresa della
potenza di
Genova sul mare
ed infine la
cacciata dei
Saraceni dalla
Provenza, dalla
Corsica e dalla
Sardegna,
permisero ai
signori di
Vezzano di
ridare a Porto
Venere la sua
funzione
primitiva. Come
prima cosa
ricostituirono
la chiesetta di
S. Pietro della
quale si scorge
tuttora l’abside
e un tratto del
pavimento nella
parte nord della
costruzione; nel
1050 fu
costruito (o
ricostruito) il
monastero di San
Venerio al Tino,
che assunse
grande
importanza in
tutta la regione
e le isole di
Palmaria, Tino e
Tinetto furono
assegnate in
donazione ai
monaci
benedettini i
quali, fedeli al
programma del
loro fondatore
Ora et
Labora, le
portarono grande
fioritura. Fra
l’altro furono
essi a porre le
basi degli
uliveti e dei
vigneti assai
rinomati dei
quali non resta
quasi più
traccia (mentre
ad eguale sorte
si stanno
avviando i già
floridi uliveti
della
terraferma...)
In complesso, salvo le sporadiche
incursioni dei
Pisani e di
altri nemici di
Genova, vi fu
pace nelle opere
agricole ed in
quelle della
fede fino al
1500, in cui il
golfo della
Spezia fu
nuovamente la
meta favorita di
terribili
incursioni dei
pirati turchi e
tripolitani,
particolarmente
fra il 1560 e il
1570; ma esse
cessarono del
tutto dopo che
l’orgoglio della
mezzaluna fu
fiaccato nella
gloriosa
vittoria della
Cristianità a
Lepanto.
Al turista intelligente che visita
Porto Venere,
non per soli
scopi materiali,
ma anche per
sana distensione
intellettuale,
non dovrebbero
sfuggire quelle
particolarità
d’interesse
storico ed
artistico che
concorrono a
dare alla
località una
caratteristica
così diversa da
quelle di altre
mète turistiche
più o meno alla
moda; la
cerchia, ben
conservata,
delle mura
genovesi del
1160-1161; il
grande castello
superiore del
secolo XVI,
lasciato in
stato di
completo
abbandono, di
difficile
accesso e che
attende tuttora
l’invocata e
decorosa
riutilizzazione;
la chiesa di San
Pietro, nella
quale lo stile
romanico delle
più antiche
chiese genovesi
(S. Giovanni di
Prè, 8. Maria
delle Vigne, S.
Matteo ecc..) si
fonde con quello
gotico che nella
Riviera di
Levante ebbe il
suo prototipo
nella basilica
di S. Salvatore
di Lavagna e
diede un opera
gemella nella
cappella di
Santa Anastasia
a Lerici; ed
infine
tipicamente
romanica, la
grande chiesa
abbaziale di San
Lorenzo, il cui
primo impianto
data dal 1116
(tre anni dopo
l’acquisto dello
oppidum
da parte dei
consoli della
Compagnia
genovese).
Fu edificata per opera dei magistri
Antelami, famosa
consorteria di
maestri lapidici
e muratori della
Valle d’Antelamo
sul lago
Maggiore. È
indubbiamente
uno dei più
insigni
monumenti della
Liguria, anche a
motivo delle
drammatiche
peripezie cui
andarono
soggette le sue
pietre consunte,
nei lunghi
secoli della
storia.
Porto Venere attraversa ora un
periodo
d’intensi
rinnovamenti e
si ha
l’impressione
che voglia
scuotersi di
dosso la patina
dei suoi molti
secoli di vita;
ma sarebbe un
male che accanto
al Porto Venere
tradizionale,
dal classico
profilo e dagli
aspetti
pittorici
apprezzati da
artisti ed
amatori di tutto
il mondo se ne
costruisse uno
di tipo
convenzionale e
per giunta
facendo scempio
delle tante cose
belle, compreso
il verde delle
pendici e gli
scogli delle
spiagge del
nostro bel mare
che ne
costituiscono la
grande,
insostituibile
attrattiva. Oggi
che le «grida»
hanno così poco
valore, non
resta che
affidarsi al
buon gusto e al
senso della
misura dei
singoli
imprenditori.
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