Il borgo medioevale colonia dei genovesi

 

      

        Fino all’apertura dell’autostrada Genova-Livorno erano piuttosto rare, negli scarni posteggi di Portovenere, le macchine targate GE, che ora invece vi abbondano — specie nei giorni di ferie — insieme alle tante (le troppe!) che vi accorrono a scoprire la rupestre, antichissima, località dal misterioso nome mitologico, così promettente di bellezze naturali e, per fortuna, non ancora del tutto deludenti..
        Debellata la oppressio saracenorum che per circa due secoli aveva reso precaria la vita nelle due riviere, reduce gloriosa dalla Prima Crociata, per la quale le sue navi erano salpate nel 1097, Genova aveva acquistato nel 1113 il castello di Portus Veneris, con un prezzo simbolico, nell’intento di portare le libertà comunali (espresse nella sua famosa «Compagna») in terra Lunigianese dominata dal sistema feudale. In effetti, per fare del già munito «oppido» dei Signori di Vezzano, valvassori degli Obertenghi, la « piccola Gibilterra » che fino alla Meloria (1284) doveva servire da base avanzata per le operazioni navali contro Pisa, con la quale vi era (dal 1077) guerra aperta per il predominio in Sardegna.
        I Consoli genovesi si erano affrettati a dare all’occupazione il carattere di «colonia», la COLONIA JANUENSIS del 1113, titolo che ha resistito ai secoli, in quanto si legge in una targa marmorea che sovrasta la porta medioevale del borgo. La strana qualifica doveva essere giustificata da fine ragione politica, od anche dal fatto che il «distretto» esattamente delimitato nell’atto di cessione — e comprendeva anche le tre isole prospicienti (la Palmaria, il Tino e il Tinetto) — faceva parte del golfo della Spezia, soggetto al dominio di altri.
        Si ripeteva quanto avevano fatto i romani nel 177 a.C. non potendo i loro eserciti aver ragione degli indomabili liguri apuani, avevano eretto Luni a «colonia romana» trasferendovi da Roma una quarantina di famiglie quirite e facendone base della loro successiva e vittoriosa avanzata. Lo stesso avevano fatto i genovesi nei riguardi di Portovenere (che aveva a monte più di nove secoli di vita, dato che se ne parla nella geografia di Tolomeo del 150 d.C.): dapprima costruirono il grande borgo, che tuttora si presenta al visitatore nel suo blocco originale pressoché intatto, innestandolo nel castrum vetus aborigeno; successivamente vi chiamarono da Genova un discreto numero di famiglie (notabili) per costituirne quella che in passato si chiamava la « classe dirigente », insieme a un forte nucleo di specialisti in fortificazioni e magister axie (carpentieri, calafati), questi ultimi da adibirsi alle costruzioni navali, per le quali non bastavano più i cantieri delle due riviere.
        Per far sentire meno ai coloni la loro lontananza da Genova, il borgo fu costruito sullo stesso stile della Città Madre, con le alte case-torri strette a difesa sul mare, il grande «caruggio»,  i «caruggetti»,  le scalinate che vi si ammirano, miracolosamente intatti. Soprattutto, fu cura dei Consoli d'innalzare in posizione superna, al centro del borgo, una grande chiesa romanica dedicata a San Lorenzo, di cui un pontefice (Innocenzo II) di poggiata con la nave su cui viaggiava, faceva la solenne consacrazione nel 1130. Per ultimo (nel 1160 e 1161) il borgo nuovo venne cinto di mura, furono rafforzate quelle del vecchio paese sulla punta di San Pietro e rinnovato in parte il castello superiore.
        Notevole, a proposito della nuova fisionomia della piazzaforte, il passo dell’annalista Caffaro, qui tradotto dalla sua estensione in latino: «Coloro che per nave passavano di là, lasciavano qualsiasi altra occupazione per ammirare la bellezza della nuova opera, lieta per gli amici e terribile ai nemici».
        Ed è ciò che continuano a fare oggi quanti, per terra e per mare, favoriti dal miracolo del motore, giungono in gita, o permangono in vacanza, in questa fra le più incantevoli baie della nostra Liguria. L’usura dei secoli, il martellamento delle guerre (fratricide e non), le lacerazioni di ogni genere al paesaggio cui la località deve il suo mitico nome, non sono ancora riusciti a rendere inattuale la sentenza del grande annalista (e ammiraglio) ligure, salvo per l’aspetto bellico, che ha solo valore archeologico e di un pittorico anacronistico, unico nel suo genere.
        Zena ciù ûn carrugio: è un verso di Martin Piaggio che si sente ancora ripetere dai vecchi portoveneresi, per affermare l’origine genovese del loro storico borgo! Il che traspare anche dal dialetto che vi si parla: fra quelli dei paesi attigui, dalle Cinque Terre alla Val di Magra, è quello che più si avvicina alla parlata di Portoria e delle Grazie. E non vi mancano, fra i cognomi della sua anagrafe, quelli di stretta origine genovese, malgrado che buona parte delle famiglie importate avesse fatta ritorno a Genova dopo l’ingloriosa caduta della Repubblica nel 1797.

 
     
     

  

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