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Dopo più di un
secolo e mezzo
di quasi
abbandono di
Porto Venere le
autorità e gli
enti preposti
alla
valorizzazione
delle sue
antichità e
bellezza
naturali hanno
deliberato, con
molta
avvedutezza, di
por mano al
parziale
ripristino e ad
una migliore
presentazione
del monumento
che, se non
proprio il più
venerando, è
indubbiamente il
più massiccio ed
appariscente nel
quadro
dell’incomparabile
paesaggio di
questo angolo,
oggi così
ricercato. del
Golfo del Poeti:
il grande
castello
superiore, detto
impropriamente
del secolo XVI,
ma che congloba,
nella grande
fortezza, più
volte
rimaneggiata
attraverso i
secoli,
costruzioni che
rimontano
all’alto
medioevo, e
forse alle
epoche bizantina
e romana,
insieme alle
opere bastionate
dei secoli più
recenti.
L’inizio dell’abbandono si può porre
all’incirca
all’anno 1799,
in cui
consegnatasi a
Napoleone I la
gloriosa
Repubblica
Genovese (che
decretava così
la sua fine) il
Gran Corso,
fatta occupare
Porto Venere
dalle sue
truppe,
destinava il
castello a
prigione dei
suoi nemici
politici. Triste
decadimento di
una fortezza
della quale non
si conosce
esattamente
l’atto di
nascita, pur
essendovi
ragioni
sufficienti per
ritenere che i
Genovesi la
riscattassero
nel 1113 dai
Signori di Vezzano e la
ricostruissero
poi nel periodo
1160-1163,
dandole la forma
di castello con
due «gemine
torri» e doppia
cinta di mura.
Tale il poeta
Ursone da Vernazza ebbe ad
esaltarlo nel
famoso poema in
onore della
strenua difesa
opposta nel 1242
dalla
Colonia
Ianuensis
al poderoso
assalto delle
forze imperiali
e Pisane, da
terra e da mare,
protrattosi per
15 giorni, che
una preziosa
lapide ricorda
tuttora presso
l’antica porta
del paese.
Poi nel 1458, comparse le prime
«bocche da
fuoco» e
cambiate le
tattiche
d’assedio e di
difesa, il
vecchio castello
fu demolito e in
seguito
ricostruito
sotto altra
forma.
Precisamente, se
ne scorgono le
vestigia
nell’attuale
parte
cinquecentesca,
nel corpo alto
del fortilizio,
nella quale si
apre l’ampia e
solenne «sala
ipòstile»
sorretta da
molteplici
pilastri, raro
esempio di un
tipo di
costruzioni
proprio dello
schema
strutturale dei
grandi templi
dell’antichità
classica.
Questa costruzione del primo ‘500,
con la
retrostante
cortina a grandi
arcate, che in
un certo senso
costituiva il
«mastio» vitale
ed abitato del
castello, ne è
la parte più
interessante e
di maggior
pregio
architettonico,
ma anche la più
manomessa nelle
successive
trasformazioni
del fortilizio.
Occorrerebbero ingenti lavori (con le
conseguenti
grandi spese)
per riportarla
alla sua
disposizione
originale, ciò
che fu più
facile, per
ragioni
evidenti, nel
castello di
Lerici. Ma è da
ritenere che con
la ripulitura
generale operata
dalla Pro Loco
ed i lavori che
vi sta attuando
la
Soprintendenza
ai monumenti, il
castello si
presenterà in
veste assai più
decorosa ai
visitatori,
prestandosi
assai meglio
alle
manifestazioni
che si ha in
animo di
svolgervi.
Resta da risolvere la questione
dell’accesso,
piuttosto
malagevole, in
dipendenza della
posizione
soprana del
fortilizio,
solidamente
ancorato sul
mammellone di
roccia calcarea
che ne
costituisce, a
cavaliere del
borgo,
l’asprigno
basamento. Sarà
necessario
migliorarlo dal
lato
dell’ingresso
principale; ma
chi presiede al
turismo ha
lanciato l’idea
di un trasporto
ascensionale
celere (funivia,
funicolare,
ecc.) lungo la
«Tagliata» di
N.E. facente
capo
direttamente al
piazzale della
spiaggia. Nessun
deturpamento al
paesaggio, in
quanto
correrebbe del
tutto a ridosso
delle mura, ed
anzi possibilità
di valorizzare
meglio il
declivio del Muzzerone (Il
ferace Mons
Gelonus degli
antichi) con la
prospettiva di
prolungarla, se
necessario, fino
alla vetta.
Antichità in
funzione
panoramica.
A Lerici il grande castello pisano
del secolo XIII,
anche esso
rimaneggiato dai
Genovesi nei
secoli
successivi,
continua a far
da moderatore,
con la sua
inconfondibile
struttura
architettonica,
ad un paesaggio
ormai troppo
avviato al
convenzionale.
A Porto Venere (zona monumentale)
sono le
antichità
(castelli,
torri, mura,
chiese
medioevali,
case-torri) a
dare l’impronta
al paesaggio ed
è il paesaggio,
principalmente a
richiamare il
turismo, fonte
di risorse,
ormai
indispensabile,
per il nostro
Golfo. Non
quindi idolatria
per queste
nostre vestigia
del tempo
passato ma
razionale
comprensione del
loro
utilitarismo,
della necessità
di valersene
come fattori
dell’economia
locale. Amiamole
queste nostre
antichità ligustiche e
preserviamole.
se non altro
come bei quadri
di famiglia da
tramandare alle
generazioni
future.
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